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Carlo Pelanda: 2010-10-19Libero

2010-10-19

19/10/2010

Per la ripresa bisogna rinforzare i forti

Un numero crescente di lettori chiede un chiarimento di fondo, essenziale, sullo stato dell’economia italiana. Provo.

La fotografia più illuminante dell’Italia mostra che solo una minoranza di imprese con capacità competitive globali, per lo più collocate al Nord, crea la ricchezza che mantiene tutto il resto. La crisi recessiva 2008/09 le ha colpite duramente, il modello socialista italiano le carica di costi e vincoli de-competitivi, la natura arretrata del credito organizzato in un sistema bancocentrico, per giunta seriamente invalidato dalla crisi finanziaria, rende difficile la loro (ri)capitalizzazione per investimenti. Inoltre il capitalismo famigliare è restio alla capitalizzazione via nuovi azionisti e quotazione in Borsa. Per tenere e rilanciare la ricchezza in Italia, quindi, bisogna rinforzare chi è già forte affinché traini di più il resto “parassitario”. La detassazione è improbabile in quanto il governo non vuole ridurre sensibilmente e a breve la spesa pubblica proprio perché la maggioranza degli italiani vive grazie a questa (52% del Pil) direttamente o indirettamente e un taglio forte e subitaneo aumenterebbe deflazione, disoccupazione e dissensi. Inoltre non può, nelle contingenze, per l’emergenza debito. In teoria si potrebbe, ma è improbabile che un governo con ministri economici socialisti lo desideri e lo tenti. L’unica cosa che può fare a breve per rinforzare i forti è ridurne i costi sistemici non fiscali e legiferare per migliorare il ciclo del credito. Il costo principale da abbattere è quello energetico, incentivando la produzione di più energia ed immettendo più concorrenza nel settore, seguito da quelli logistici, alcuni riducibili con semplici provvedimenti di fluidificazione burocratica. Ma la riforma stimolativa – non detassante, ma con premi fiscali -  a più alto impatto benefico sarebbe quella di incentivare i fondi di investimento non bancari, nonché la quotazione in Borsa delle imprese, per dare alle aziende forti una fonte di capitalizzazione efficiente non a debito. Basterebbe? Per non far scendere la ricchezza e consolidare la ripresa probabilmente sì. Se non lo si fa scenderà, pur gradualmente perché l’unico vantaggio di un disastroso sistema ad economia sociale di mercato con prevalenza di un ciclo del capitale statalizzato è quello dell’impoverimento lento. Mentre un sistema liberalizzato perde e riconquista ricchezza in modi veloci ed andamenti discontinui.   

La riduzione dei costi degli apparati pubblici è la seconda priorità nel modello italiano di economia socialista. Il potenziale di risparmio è enorme, attorno ai 100 miliardi e forse più, ma in parecchi anni. Di questi,  20 o 30 in poco tempo sarebbero possibili in quanto destinati a sprechi tagliabili senza troppo impatto deflazionistico. Il problema è che il sistema partitico italiano – circa un milione di persone finanziate direttamente o indirettamente da soldi pubblici –  sia vive di questi sprechi sia mantiene il proprio potere allocando ad amici politici le risorse. La volontà di cambiare questa pratica è poca, ma la pressione europea verso la situazione di deficit zero, in prospettiva, lo imporrà ed il nuovo strumento federalista che facilita i controlli di dettaglio lo permetterà. Ma servirà “solo” a riequilibrare i conti pubblici, non per la vera crescita.

La terza priorità è il Sud. Ora è solo un costo e difficilmente tale situazione cambierà. Qui ci vuole una nuova strategia. Il problema di fondo è che l’Italia meridionale è una penisola con enormi svantaggi logistici. La soluzione la vedo in una politica estera che abbatta il muro del Mediterraneo e (ri)collochi l’Italia ed il suo Sud al centro di questo mercato che, se trova pace, potrebbe diventare “più emergente” di quelli asiatici ora scoppiettanti. Ma è progetto, in caso, di lungo termine.

In conclusione, realisticamente e a breve, possiamo solo sperare di rinforzare la minoranza produttiva che sostiene la maggioranza improduttiva. Per fare di più ci vorrebbe un nuovo progetto nazionale e liberale.   

(c) 2010 Carlo Pelanda
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