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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2002-3-29il Giornale

2002-3-29

29/3/2002

Più fiducia

E’ arrivato il momento di dare ancor più fiducia al governo. Non per ottusa partigianeria. Ma per il fatto che sta dimostrando concretamente di realizzare le promesse con conseguenze positive tangibili. Per esempio, pur antipaticamente seminascosto da tanta stampa – mi ha un po’ stupito ed amareggiato la sordina messa alla notizia dal Corriere della Sera - il fortissimo aumento dell’occupazione, un record, in pochi mesi grazie al solo iniziale pacchetto di misure stimolative fa ipotizzare un boom nel prossimo futuro, quando l’azione riformatrice potrà svilupparsi in pieno e combinarsi con la ripresa mondiale, direi nel 2003. Poiché l’insieme di tutte queste promesse è stato sintetizzato con lo slogan “l’Italia in serie A” comincia ad essere veramente credibile l’idea che ce la potremmo fare entro il 2006. Non vi nascondo che fino a poco fa qualche dubbio ce l’avevo sul piano della realizzabilità. Per mestiere macino dati economici e la farina italiana appariva piena di muffa.  Il Paese è da più di dieci anni in lenta deindustrializzazione, in contrazione demografica, senza investimenti dall’estero e con molti, troppi, di quelli nostrani che scappano, tra cui gli elementi principali della ricchezza nazionale nell’economia globale trainata dalla conoscenza: tanti  giovani ingegni che migrano nelle università ed aziende tecnologiche straniere, per lo più americane. Tra me e me bofonchiavo che se restiamo in C, evitando ulteriori retrocessioni, sarà tanto anche perché i girotondi e sindacalismi retrogradi mostrano che ad ogni tentativo di accelerata qualcuno tira un freno. Ma ho sempre sentito per istinto, e qui scritto, che l’Italia non poteva finire così, una nazione troppo grande per qualità del capitale umano e genialmente folle (o follemente geniale, se preferite) per non tirar fuori una magia. Adesso c’è, la si sta cominciando a vedere nei dati (Istat): da qualche mese possiamo tornare a far pane. Per la prima volta dalla fine degli anni ’50 si respira un clima di ambizioni forti (competitive), realistiche (risolvere con più mercato, e non con statalismi cartacei, i malanni strutturali del Paese) e responsabili verso il mondo (usare parte della nuova ricchezza futura per investirla a favore della pacificazione e sviluppo concreto dei Paesi poveri mentre l’Ulivo aveva ridotto le risorse per tali impieghi). Qual è la magia? Un gruppo di uomini ora al governo ha creduto che tanti italiani fattivi, liberisti “naturali”, buonsensisti e ottimisti avrebbero potuto creare molta più ricchezza se messi in condizioni di liberare il loro potenziale. I secondi hanno dato fiducia alla “pazza idea” dei primi e questi gliela stanno tornando in forma concreta di strumenti liberalizzanti per realizzarla. Poiché tale “contratto di ambizione” sta iniziando a funzionare è utile sottolinearne il pilastro per ampliare l’effetto: la fiducia che anticipa nelle emozioni ottimistiche il buon esito, così realizzandolo. A metà del 2001 tale fiducia è stata data sulla parola. Ora possiamo basarla sui fatti e, quindi, darne ancora di più.

A chi? Per prima cosa agli uomini di governo. Le tante sinistre, con maggiore o minore intensità, ma tutte con lo stesso obiettivo, hanno tentato e stanno tentando di delegittimarli proprio per evitare l’innesco di massa dell’ ”effetto fiducia”. Per loro Berlusconi non è un leader che sta dando via la salute per realizzare un disegno benefico di enorme complessità, ma un fascista da abbattere. Per loro Tremonti non sta tentando una manovra di grande intelligenza e coraggio – pochi hanno idea di realmente quanto nei vincoli spaventosi del Patto di stabilità combinati con quelli del debito pubblico e di altre magagne pregresse lasciate da un malgoverno pluridecennale - per ridurre i carichi fiscali che frenano il Paese, ma un irresponsabile, forse mitomane. Per loro Martino non è un ministro che sta con enormi sforzi cercando sia di portare più razionalità nella nascente Europa della difesa sia di rispettare i gravosi e difficili impegni militari dell’Italia a favore della sicurezza internazionale, ma solo uno stravagante. Mi sembra evidente il tentativo di mostrare che noi non dovremmo dare fiducia a questa gente. E quindi nemmeno credere alla fiducia che questi politici hanno dato a noi, popolo produttivo d’Italia, attraverso il “contratto di ambizione”, sul cui successo si giocano la faccia, la reputazione di un’intera vita. Piuttosto che riconoscere un qualcosa di buono nell’azione del governo sono pronti a smontare con tutti i mezzi possibili, sciopero generale contro il nulla compreso, l’effetto fiducia con danno per tutta l’Italia. Beh, al riguardo c’è una buona notizia dalla strada anche se non data con il giusto spazio da molti media: i dati economici detti sopra mostrano che l’effetto fiducia comincia, appunto, ad esserci. Gli investimenti non sarebbero ripartiti e le imprese non avrebbero assunto in grandi numeri se non ci fosse stato. Ora sta a noi popolo del “contratto di ambizione” far girare di più questa fiducia, comprendendone meglio il valore propulsivo: più ne daremo e più il governo sarà in grado di tornarcela in forma di opportunità crescenti in un’economia che si disgela. Questa è la concreta, semplice e pazza idea che unisce in contratto futurizzante gli italiani fattivi ed un governo coraggioso. Diciamolo.

(c) 2002 Carlo Pelanda
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