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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2000-11-6L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2000-11-6

6/11/2000

Economia americana: è talmente difficile atterrare che continuerà a volare

La locomotiva americana, che traina tutta l’economia e le Borse mondiali, sta rallentando. La crescita del Pil nella seconda parte del 1999 e nel primo semestre del 2000 viaggiava a livelli attorno al 6%, considerati insostenibili (cioè inflazionistici). Nello stesso periodo l’autorità monetaria statunitense (Fed), presieduta dall’ormai mitico – perché considerato, a torto o a ragione, infallibile - Alan Greenspan, decise un’azione di enorme complessità: incanalare la crescita statunitense entro un sentiero di crescita che allo stesso tempo stesse sotto la soglia oltre la quale esplode l’inflazione ed evitasse di generare una recessione. Non ci sono esempi storici precedenti, di successo, per manovre del genere. Un’economia cresce fino ai limiti oltre i quali produce squilibri e una Banca centrale è costretta ad alzare il costo del denaro (cioè a ridurre la liquidità che alimenta il motore economico) per calmarla. Tale raffreddamento, di solito, induce un brusca frenata, come successo in una situazione analoga in America alla fine degli anni Ottanta. Il sistema va in recessione più o meno pesante e poi, dopo qualche tempo, riparte. Ma in mezzo molti ci lasciano le penne. Greenspan ritene di poter evitare tale caduta pilotando un "atterraggio morbido". Inteso come crescita annuale che non superi il 4%, ma che non vada sotto il 2. Tale è l’obiettivo per il 2001. Ci riuscirà? La risposta è critica anche per gli europei. Vediamo.

Dopo l’aumento dei tassi e lo sgonfiamento della bolla borsistica, l’economia americana ha rallentato più del previsto nel settore della produzione, ma meno del necessario a livello di domanda dei consumatori. I primi devono fare piani di acquisto sulla distanza di un anno nel futuro e vedono una contrazione della domanda. I secondi, la domanda, non sentono ancora il rallentamento: c’è la piena occupazione, i salari sono aumentati, mai c’è stata tanta ricchezza dappertutto (dopo 9 anni di crescita ininterrotta e dal 1997 oltre il 4%). Perfino i gruppi storicamente svantaggiati, per esempio di afroamericani, sono usciti dalla povertà. Il cui indice complessivo, per altro, è sceso ai minimi storici. Questa sfasatura pone un grosso problema di pilotaggio alla Fed. Il forte rallentamento – e le aspettative negative – sul piano dell’offerta consiglierebbe di cominciare a ridurre i tassi monetari per ridare forza all’economia. Ma l’esuberanza dei consumatori non lo permette. Per esempio, se i tassi scendessero ora la gente comprerebbe molto di più con la carta di credito (che lì ha un uso ormai generalizzato mentre da noi è molto più limitato). Ciò, oltre a peggiorare l’indebitamento delle famiglie, manterrebbe un eccesso di domanda, ovvero il fattore di surriscaldamento principale che la Fed vuole raffreddare. Anche perché tira le importazioni oltre misura, creando un deficit commerciale enorme. Che può essere riequiibrato solo attraverso il continuo ritorno dei flussi finanzari sul dollaro e su investimenti in America. Ma, per attrarli, il dollaro dovrebbe restare alto: cosa che implica tassi monetari elevati e, soprattutto, Borse crescenti. Se il rallentamento economico prende piede, è difficile che i titoli azionari possano salire di molto. In sintesi, la Fed deve: (a) mantenere il dollaro forte e, quindi, impedire una contrazione eccessiva delle Borse; (b) ridurre la domanda aggregata di consumi; (c) ma evitare una caduta troppo forte nel ciclo degli investimenti dell’economia reale. E’ un argomento complesso che qui semplifico molto, ma pur detto così è chiaro a chiunque che la manovra di atterraggio morbido sarà quasi impossibile: o l’areo si sfracella o ridà gas e riprende quota. Io scommetto sul fatto che Greenspan rinuncerà all’atterraggio morbido – pur continuando a chiamarlo tale - e cercherà di mantenere in volo l’economia perché è troppo forte il rischio, in queste condizioni, di farla precipitare.

Ma vediamo i due scenari dal punto di vista dell’interesse europeo. Se l’economia americana andasse in recessione, ci sarebbe un’inversione notevole dei flussi di capitali che attualmente premiano il dollaro: l’euro recurerebbe almeno la metà di quanto ha perso in due anni (circa il 30%). Ciò sarebbe buono perché farebbe tornare il denaro nell’eurozona stimolando quegli investimenti che ora non ci sono. Darebbe una spinta alle euroborse e ridurrebbe il rischio di inflazione importata. Ma, di cattivo, c’è il problema che una riduzione improvvisa della competitività delle merci denominate in euro combinata con una caduta della domanda americana di importazioni, getterebbe l’Europa in recessione ancora più veloce di quella americana. Perché la crescita europea (sul 3% tendenziale annuo) è quasi esclusivamente tirata dalle esportazioni verso l’area del dollaro. Inoltre è impensabile che le Borse europee riescano ad andare troppo in controtendenza a quelle americane se le seconde crollano. Quindi dovremmo essere noi più preoccupati degli americani stessi se le cose andassero male negli Stati Uniti.

Ma è più probabile che andranno abbastanza bene, almeno nel breve-medio periodo. Appunto, sarei sorpreso se Greenspan rischiasse veramente un crash. Soprattutto in una situazione dove l’inflazione non sta alzandosi. E penso anche che sia pronto a ridurre immediatamente i tassi – di un po’ - qualora il rallentamento in atto risultasse troppo marcato. Se ho ragione – e francamente non posso giurarvelo in una situazione così complessa – nel 2001 l’economia americana dovrebbe continuare a crescere attorno al 4%, forse sopra, e a tirare tutto il resto del mondo, noi compresi. Ma gli sbilanciamenti resteranno e prima o poi verranno fuori, a sorpresa.

(c) 2000 Carlo Pelanda
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