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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2005-12-6Il Foglio

2005-12-6

6/12/2005

Globalizzazione non globale

Gli scenari profetizzano la migrazione del centro dell’economia globale dall’Atlantico al Pacifico. Alla fine degli anni ’50 ci fu una situazione simile: le previsioni segnalavano che l’URSS avrebbe presto superato gli Stati Uniti per potenza economica e militare. Lo Standford Research Institute confezionò una serie di scenari preoccupati che contribuirono non poco a rendere più attivo il “contenimento” americano del potere sovietico da parte dell’Amministrazione Kennedy e successive. I più anziani nel think tank occidentalista che questa rubrica frequenta ricordano ai più giovani tale esempio per suscitare in loro una riflessione: talvolta uno scenario sbagliato può essere più utile di uno azzeccato. Il problema è nato dalla diversità nei risultati che esiste tra la scenaristica specializzata e quella generica. La seconda, appunto, prevede l’ineluttabile emergere del potere cinese e le sue conseguenze globali. E passa sui media e nelle analisi di mercato. La prima, invece, si basa su scenari a “matrice” e non lineari che tengono conto delle criticità, ma visibili solo a pochi dato il loro costo. Da questi emerge che la Cina cresce senza adeguare il proprio modello interno. Quindi prima o poi salterà perché la varietà dei problemi di stabilità sociale e consenso, oltre che di architettura tecnica, sarà superiore a quella delle soluzioni. Tali analisi stanno modificando lo scenario elaborato nel 1994 dal Pentagono che individuava nel 2024  il raggiungimento del primato assoluto mondiale della Cina, gli Usa “minorizzati”. Infatti è più probabile che il sistema cinese imploda in tre date: 2010, 2014, 2022. E ciò pone il problema: conviene spaventare l’Occidente sventolando la minaccia cinese o segnalare che questa è, in realtà, di carta e che comincia ad essere prioritario costruire gli argini per assorbire le conseguenze depressive di una crisi interna che già si intravede? I vecchi premono per la prima soluzione allo scopo di suscitare una reazione utile a ripristinare il potere occidentale planetario. Ma i giovani scenaristi, intelligentemente, hanno notato che per l’errore di Clinton nel 1995 – l’inclusione della Cina nel sistema globale senza condizioni – non si potrà fare “contenimento” esterno  perché il business occidentale, diversamente dal caso sovietico, è tutto ingaggiato in Cina. Pertanto la soluzione è quella di attuare una strategia di democratizzazione come unico modo per combinare i due obiettivi: stabilizzare la Cina ed allo stesso tempo ridurne l’aggressività e la potenza strategica. Rimarchevole, in clima natalizio, notare che una volta tanto interesse strategico e morale coincidano.

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