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Carlo Pelanda: 2000-11-25Il Foglio

2000-11-25

25/11/2000

La comunita’ internazionale sembra aver bisogno di una bella catastrofe prima di agire sul serio per ridurre l’effetto serra

Ormai e’ certo che il pianeta si sta riscaldando sia per motivi naturali (inversione della piccola glaciazione a meta’ del millennio scorso) sia per l’effetto serra prodotto – principalmente – dalle emissioni dovute all’uso dei carburanti fossili. Il secondo fattore appare accelerare il primo. Fino al punto da far temere un cambiamento climatico molto piu’ veloce della capacita’ di adattamento, contenimento e gestione da parte delle nazioni. Tale sensazione e’ emersa con chiarezza dai risultati della Conferenza mondiale sul cambiamento climatico che si e’ tenuta a L’Aja. Vediamo.

 Gli scenari scientifici che fino a poco fa divergevano non poco nel definire l’entita’ del fenomeno hanno iniziato a convergere. Non sappiamo ancora con precisione quanto si alzeranno i livelli dei mari a causa dello scioglimento dei ghiacci. Ma ci sono sufficienti prove per delineare una mappa dei pericoli. A breve, l’aumento medio della temperatura rendera’ piu’ catastrofici gli eventi atmosferici e creera’ un nuovo rischio epidemiologico. A medio e a lungo trasformera’ in deserti zone ora verdi (meta’ degli Stati Uniti, il Sud d’Italia) e portera’ le acque a sommergere buona parte delle zone attualmente costiere – Venezia e forse l’Olanda prima di altre - ed i bacini fluviali, tropicalizzando alcune (per esempio, la pianura padana). I fisici  dell’atmosfera si sono messi una buona volta d’accordo: pur rilevanti le cause naturali – non modificabili - del riscaldamento del pianeta, la gran parte del fenomeno e della sua recente accelerazione e’ dovuta alle emissioni gassose che impediscono ai raggi solari di tornare nello spazio extraterrestre e che, per questo, producono l’effetto serra. Che sarebbe reversibile se non buttassimo piu’ nell’atmosfera miliardi di tonnellate all’anno di CO2 e simili. Ma se continuiamo a farlo, aumentandolo nel futuro a causa dello sviluppo dei paesi emergenti, cambiera’ in pochi decenni il substrato ambientale su cui si poggia la societa’industriale globale. E gia’ ora si puo’ calcolare che la velocita’ corrente del cambiamento e’ superiore alle possibilita’adattive. Si prospetta, quindi, il rischio di una crisi economica globale di tipo strutturale, se nulla cambia, tra il 2030 ed il 2050 (dati miei). Ma prima potrebbero verificarsi pandemie mortifere favorite dal clima piu’ caldo e varie catastrofi alluvionali. Di fronte a questa precisazione dei dati di scenario da parte della comunita’ scientifica, a L’Aja le 180 nazioni riunite non hanno saputo contrapporre un piano comune di cooperazione. Il negoziato politico si e’concentrato sui tagli alle emissioni da attuare in ciascun paese. E non si sono messi d’accordo. Il summit e’ stato prolungato di un giorno, cioe’ fino ad oggi, proprio per evitare un fallimento politico totale che l’opinione pubblica mondiale non comprenderebbe alla luce di un rischio globale piu’ scientificamente precisato. Ma va detto che anche un accordo sarebbe, comunque, insufficiente. Sul tavolo c’e’ la proposta – definita a Kyoto nel 1997 – di tagliare di circa il 6% le emissioni complessive che esistevano nel 1990. Non basterebbe. E’ arrivato il momento di prendere misure piu’ radicali: oltre ad un taglio delle emissioni piu’ consistente bisogna passare velocemente da un’economia basata sul petrolio ad una che puo’operare con altre fonti di energiameno contaminanti. Questo e’ il punto. Poiche’ tutti lo ritengono infattibile non se ne parla. I politici di adesso sanno che quando cominceranno le catastrofi da cambiamento climatico loro non saranno piu’ al potere. Quindi non sono incentivati a premere per una rivoluzione tecnologica densa di difficolta’ tecniche e di dissensi. Quando le catastrofi saranno piu’ evidenti, allora la pressione della realta’ rendera’ piu’ facile l’azione politica di cambiamento. In sintesi, la conquista di una maggiore evidenza scientifica dell’emergenza non comporta automaticamente l’innesco di un’azione politica preventiva utile ad evitarla. Cio’ fa prevedere che per ottenerla dovremo aspettare qualche catastrofe di grande scala, che probabilmentearrivera’ tra dieci-quindici anni,forse prima. Quale sara’? Il menu’ offre: almeno duecento milioni di morti nel mondo per Ebola o altro del genere; Venezia o il Bangladesh sommersi da un’ondata di marea; una megalopoli sudamericana o cinese spazzate da una frana ciclopica; meta’ America desertificata e la Siberia granaio del mondo. Dimenticavo: il diluvio. 

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