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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2000-4-22Il Foglio

2000-4-22

22/4/2000

Il mistero dell’euro debole è la mano politica che tiene alto un dollaro sempre in bilico

Non è facilmente spiegabile come mai continui senza soste la fuga dall’euro verso il dollaro nonostante le nubi che si addensano sul secondo. Nel periodo in cui il Nasdaq è crollato del 25% in pochi giorni i più grandi fondi di investimento sono usciti provvisoriamente dalle Borse, ma sono rimasti “liquidi” in dollari. Ancor più sorprendente è il fatto che sia continuato il gioco di indebitarsi in euro a tassi minimi, cambiarli subito in dollari ed investirli in quell’area monetaria. Tale speculazione è remunerativa solo fino a che il dollaro resta forte. Quindi il mercato, nei suoi comportamenti reali, prevede che l’euro non rimbalzerà di molto nei prossimi mesi. Ciò contraddice due teorie molto diffuse: (a) che il dollaro sarebbe crollato ai primi segni dello sgonfiamento della bolla borsistica americana; (b) che l’euro avrebbe finito presto la sua discesa ininterrotta (ha perso, dal gennaio 1999, circa il 20% sul dollaro ed il 25% sullo yen) perché spinto verso un rialzo stabile dai segnali di ripresa economica in Europa, combinati con quelli di rallentamento negli Stati Uniti. Che in effetti ci sono. Tuttavia tali credenze non erano - e non sono - campate in aria. Come si spiega, allora, la loro plateale smentita, almeno per il momento?

Prima tesi. Il mercato si aspetta ancora un paio di rally borsistici in America entro l’estate e, per questo, resterà puntato sul dollaro. Poi, dopo la scorpacciata, si metterà in posizioni più prudenti. In tal caso le teorie dette sopra sarebbero solo posposte e non smentite. Ma se fosse solo così, allora si dovrebbero vedere già ora dei movimenti di riflusso verso l’euro per assicurarsi in anticipo contro il rischio crescente di prossimi guai nell’area del dollaro. Che, però, non ci sono. Mistero. Cerchiamo una seconda spiegazione aggiuntiva. Forse la crisi di fiducia nei confronti dell’euro è talmente acuta che il mercato preferisce il rischio di restare intrappolato in un dollaro che potrebbe crollare improvvisamente piuttosto che portarsi sull’eurozona. Da una parte, tale scelta è  giustificata dalla poca credibilità riformatrice dei governi europei di sinistra e dal fatto che la Bce persegue un’evidente politica  di “euro debole”, cioè di svalutazione a favore delle esportazioni perché la rigidità dell’eurozona non permette di fare crescita in altri modi più sani. Dall’altra, è impossibile che il pessimismo sull’euro sia così assoluto da non scontarne un qualche miglioramento futuro. Evidentemente, più che sfiduciare oltremisura l’euro, il mercato crede che il dollaro possa restare  ancora per parecchio tempo. Come mai, visto che ormai la crescita americana ha raggiunto un tetto? Va aggiunta una terza spiegazione. Il mercato percepisce che c’è una mano politica che sostiene il dollaro e la Borsa. In effetti, se crollassero, salterebbe la bilancia commerciale americana, squilibrata da un eccesso di importazioni compensabili solo con un ritorno di capitali attratti da una moneta fortissima e da Borse crescenti, aumenterebbe l’inflazione e verrebbe meno circa un 15% di reddito finanziario medio annuo per le famiglie americane. Situazione che manderebbe l’economia statunitense in recessione. E con questa anche quella globale. Quindi l’America non può permettersi un “dollaro debole”. E se le condizioni di mercato lo portano giù,  una sapiente mano politica lo riporta su. Infatti si nota che l’autorità monetaria sta facendo una sorta di doppio gioco. Da una parte è restrittiva (rialzo dei tassi), ma dall’altra si comporta in modo espansivo, mantenendo molto liquido il sistema e, di conseguenza, favorendo il flusso di capitali che pompano la Borsa. E non è escluso che qualche grande cartello finanziario aiuti questa strategia. Se tale analisi è realistica, allora è svelato il mistero di un dollaro e di una Borsa che stanno sfidando acrobaticamente la forza di gravità. C’è una leva che le sta sostenendo artificialmente, una sorta di “bolla politica”. Fino a quando? Alcuni analisti pensano che durerà fino alle elezioni presidenziali americane del novembre prossimo in quanto dollaro alto, Borsa che tiene e piena occupazione favoriscono i democratici perché tali condizioni non darebbero motivo agli elettori di invocare il cambiamento dell’amministrazione. Poi ci sarà lo sgonfiamento, profetizzano i cultori di questa teoria. Può darsi, ma io credo, invece, che Greenspan non sia così “politichese”. Il mantenimento forzato del dollaro alto serve, infatti, ad evitare tempeste nazionali e mondiali nella strategia di riequilibrio della crescita e dei valori finanziari americani surriscaldati, in particolare a farli scendere molto lentamente e non improvvisamente. E’ una bolla più a forma di “paracadute” che di “mongolfiera”. E durerà probabilmente oltre il 2000, tenendo l’euro compresso o in rialzo molto contenuto (per esempio, non più del 7-8%) fino ai primi del 2001. E’ solo un’ipotesi. Ma è utile per introdurre un dettaglio piccante di geofinanza. Se alla Bce venisse in mente di fare una politica di “euro forte”, per esempio alzando robustamente i tassi per far cessare la fuga dei capitali e recuperare un po’ di credibilità, l’Impero non potrebbe permetterglielo - almeno fino a riequilibrio avvenuto - perché farebbe scoppiare la bolla-paracadute del dollaro. Quindi lo scenario più probabile appare essere quello di un euro deboluccio non più solo per colpa sua. 

(c) 2000 Carlo Pelanda
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