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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1998-7-7Il Foglio

1998-7-7

7/7/1998

L'Europa degli armamenti è più integrata, ma sarebbe meglio un accordo euroamericano

Di quali armi ha bisogno l'Europa? E' poco chiaro. Lo é di più il problema corrente dei produttori europei di armamenti. I bilanci della difesa nazionali si stanno restringendo sotto la pressione di altre priorità dopo la fine di quella legata alla minaccia sovietica. Quindi, se si resta ancorati all'idea che ogni nazione debba avere un proprio sistema industriale militare completo, di grande scala ed indipendente, non ci sono risorse a sufficienza per tenerlo in vita. Ma le nazioni europee sono restie a mollare questa idea nonostante l'evidenza che le costringe a farlo. L'industria militare é una parte integrante del modello di difesa nazionale. Rifornirsi di armi dall'estero, o condividerle troppo con gli alleati, significa dover rinunciare all'autonomia politica sia per la propria sicurezza che per le proiezioni di potenza ed il supporto militare agli interessi commerciali nazionali. Infatti gli europei hanno trovato un compromesso tra esigenze di autonomia nazionale e quelle di integrazione formando dei consorzi per lo sviluppo di specifici sistemi d'arma (Per esempio L'Eurofighter, la fregata Horizon, ecc.). La forma consortile assegna alle industrie di una nazione una quota di lavori proporzionale alla quota di mezzi che ciascuna forza armata di quella nazione prenota e paga. E tale modello permette di integrare le risorse sul piano della domanda evitando che si facciano tanti nuovi modelli di aerei o navi, o altro, quante sono le nazioni. E ciò assicura ad ogni industria nazionale una quota di mercato più ampia di quella del mercato interno. Tuttavia questo modello non basta più. E' vero che salva le industrie nazionali. Ma é anche vero, proprio per questo, che le mantiene troppo piccole per diventare competitive sul piano dell'avanzamento tecnologico e commerciale.

E la questione é scoppiata nel confronto con gli americani. Il loro modello di industria della difesa é stato riorganizzato favorendo la fusione delle aziende piccole in modo tale da trasformarle in nuovi giganti capaci di prestazioni avanzate grazie alla maggior scala. Se gli europei vogliono competere con gli americani in questa materia non possono far altro che lo stesso: meno produttori, ma più grandi, sul lato dell'offerta industriale. E ciò permette di integrare le risorse finanziarie sul lato della domanda, concentrandole invece che disperderle in tanti rivoli e ridondanze nazionali. A Londra, lunedì 6 Luglio, é stato firmato un accordo tra i governi di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Svezia (che insieme formano circa il 90% del mercato della difesa dell'Unione) per portare il sistema europeo verso questa direzione.

Sarà una transizione piena di problemi. La volontà politica emersa a Londra pare spingere il sistema industriale europeo della difesa a consolidarsi attraverso fusioni e superare l'approccio per consorzi di industrie nazionali. Ma chi sarà acquisito e chi acquisirà? Una nazione perderà la capacità di costruire carrri armati nel proprio territorio perché potranno restare solo uno o due aziende del settore. E così per gli altri. E i militari che resteranno nazionali accetteranno di condividere le specifiche dei progetti integrati? Inoltre i sistemi industriali militari nazionali sono strutturalmente diversi. Per esempio, quello inglese si basa sulla Borsa e sulla concorrenza. Quello francese é totalmente dirigistico. Non sarà facile integrarli. Comunque l'accordo di Londra indica che c'é una volontà politica di dar vita in un qualche modo ad un sistema di difesa europeo basato su un'industria degli armamenti altrettanto europea. Ed in qualche modo verrà fatta, pur passo dopo passo, ognuno difficile e sudato.

Ma questa volontà politica di europeizzazione del settore si é formata sulla base di un emergenza di sopravvivenza a livello di industrie degli armamenti, non di un piano che definisca quali armamenti servano per il futuro, cioé per quale politica di sicurezza europea e verso il mondo. Per esempio, contro chi facciamo l'Eurofighter? E' nato come caccia europeo (per altro ottimo sia come piattaforma che come elettronica) contro i sovietici, ma questi non ci sono più. La risposta tipica é che lo facciamo per tenere in vita l'industria aeronautica europea affinché non venga cannibalizzata da quella americana. E per svolgere meglio questa missione sarebbe il caso che il consorzio Airbus diventasse un'azienda unica, capace di fare anche aerei militari, da contrapporre alla Boeing in modo più solido. E quindi vien fuori che lo scopo principale dell'europeizzazione dell'industria della difesa (e di quella civile che é coinvolta) é quello di fare concorrenza agli Stati Uniti. Non c'é ancora un'Europa politica che definisca una politica comune di sicurezza e difesa, cioé manca la testa. Ma c'é un corpo industriale che deve essere comunque salvato. Gli si metta quindi una eurocorazza protettiva e poi si vedrà quale testa spunterà.

Non voglio criticare questo approccio. Ha motivi pratici e, soprattutto, é innegabile l'aggressività americana. Ma mi chiedo se ciò porterà a del buono. Non credo. Gli americani non possono da soli reggere la sicurezza del pianeta. Inoltre di fronte ai paesi emergenti, quali Cina, India ed altri in arrivo, saranno necessari sistemi d'arma che siano più avanzati di decenni tecnologia per mantenenre la superiorità. E per svilupparli bisogna mettere insieme le risorse americane e quelle europee perché le prime e le seconde, se divise, non basteranno. Per questo vedrei meglio un'integrazione tra l'industria americana e quella europea che non la formazione di due blocchi contrapposti in concorrenza, e conflitto politico, tra loro. Ormai il confronto militare potenziale é tra Occidente e Asia e il primo non può restare diviso da fratture fondamentali quali quella militare se vuole vincerlo. Ma pochi sentono al momento questo problema. Prevale un altro. Gli americani riescono a vendere gli F-16 ad un prezzo scontatissimo, 9 milioni di dollari l'uno, a turchi, olandesi e ad altri paesi. Riusciranno gli europei a vendere l'Eurofighter ad un prezzo competitivo?

(c) 1998 Carlo Pelanda
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