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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1999-7-6L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

1999-7-6

6/7/1999

Lo strano silenzio sulle questioni europee più importanti

Come dare il giusto rispetto al prossimo aprirsi della nuova legislatura europea? Un modo sarebbe quello di immaginare un’agenda degli argomenti di cui sarebbe importante ed urgente parlare nel "Parlamento europeo". Ha pochi poteri reali, potrebbe dire qualcuno addentro ai meandri della politica professionale, e ciò rende inutile questo esercizio. In realtà l’europarlamento ha un enorme potere morale e di indirizzo politico di fondo, qualora volesse utilizzarlo. E dovrebbe farlo perché gli europei aspettano che qualcuno finalmente si decida a dare un strategia al continente che, al momento, naviga senza bussola. Vediamo.

La questione principale riguarda i confini dell’Unione Europea. Fino a dove la estenderemo? Al momento l'idea è quella di cooptare i Paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Cekia, Polonia). Poi in seguito arriveranno Slovenia, Croazia, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Paesi baltici. Nel contempo i restanti paesi balcanici verranno messi in una situazione di attesa, parzialmente agganciati sul piano economico e comunque inclusi nello spazio europeo della sicurezza. E fin qui va bene. In qualche modo è un sentiero già tracciato. Ma poi? L’Unione si espanderà ancora o no. Tale domanda non è troppo anticipata anche se riguarda scenari temporalmente remoti. Se, infatti, la Turchia percepisce ora che sarà esclusa per sempre dall’Unione, nella quale sta tentando di entrare da anni rifiutata ed umiliata, le conseguenze politiche saranno immediate. I musulmani moderati potrebbero vedere sconfitta la loro linea pro-occidentale e cedere spazio a correnti fondamentaliste. Allo stesso modo, la Russia vorrebbe sapere dove finirà l’Unione. Se questa includerà l’Ucraina, che Mosca non ha del tutto rinunciato a rioccupare (per lo meno la metà orientale) allora si potrebbe correre il rischio di un pericoloso confronto. E che tipo di rapporto ci sarà con la Russia? In sintesi il problema è che se l’Unione non fissa abbastanza presto i suoi confini, allora correrà il rischio di suscitare instabilità a catena nelle sue aree immediatamente esterne già nel prossimo futuro.

La seconda questione riguarda l’ordine interno europeo. Al momento è un sistema misto dove le nazioni restano sovrane, ma cedendo alcuni poteri al regime sovranazionale. Di fatto manca un governo europeo. E senza questo difficilmente la moneta ed il mercato unici riusciranno a diventare solidi e credibili. Pur tema scottante, va comunque chiarito almeno quale sia il tragitto per ottenere una carta costituzionale europea che definisca un ordine preciso. E questo sarà tanto più necessario quanti nuovi paesi entreranno.

Il terzo punto riguarda i rapporti con gli Stati Uniti. Forse questo è il più difficile. Il mondo si è ingrandito e solo Europa e America alleate hanno la scala sufficiente per bilanciare i giganti mondiali emergenti, quali Cina e India, e per fornire la sicurezza a tutto il pianeta. Ma al momento c’è una grande divergenza tra i due. Gli americani pensano di poter fare tutto da soli e quindi di agire come potenza unica mondiale. Gli europei tendono a costruire una forza finalizzata più a competere con gli Stati uniti che non a cooperare. Tale situazione è pericolosa se si confermerà come creazione di due blocchi geoconomici e geopolitici contrapposti. Più sensato sarebbe definire già da ora un’agenda comune di convergenza, soprattutto utile a creare nel futuro un mercato unico transatlantico.

Il quarto punto, che in realtà è il più urgente, riguarda la riforma dello Stato sociale di tipo europeo. Non funziona in Italia, Francia e Germania né altrove, eccetto che nel Regno Unito dove questo è stato già in parte liberalizzato. Il problema è che ormai c’è abbastanza Europa per non permettere ad alcuno Stato nazionale di poter farsi la riforma che vuole. Per esempio, se in Italia – miracolo – riuscissimo a dimezzare le tasse mentre in Francia e Germania queste restano inalterate ed oppressive, allora provocheremmo uno sconquasso competitivo nel sistema europeo (eurozona). Tutti verrebbero qui a fare impresa svuotando il resto. Il paradosso è che se anche ce la facessimo a fare la riforma, questa sarebbe politicamente inattuabile (cioè non ce la lascerebbero fare) fino a che anche gli altri non fossero pronti ad agire contestualmente. A questa complicazione ben pochi ci pensano, anche prestigiosi campioni del liberismo, ma dobbiamo pensarci e parlarne urgentmente. Anche per evitare che tale complessità costituisca un alibi per armonizzare verso l’alto e non verso il basso le tasse europee, cosa che sarebbe devastante.

Penso che sarete d’accordo con me sul fatto che i temi qui accennati siano di valore fondamentale e che vadano chiariti in tempi relativamente brevi. Eppure questi non sono parte principale dell’agenda del Parlamento europeo. Forse perché gli stessi europei non si sono ancora adattati all’idea che in qualche modo l’Europa, piaccia o non piaccia, c’è, pur ancora a metà del guado, e quindi non chiedono all’europarlamento di chiarire le euroquestioni critiche. Spero che il solo pennellarle, come fatto qui, serva a stimolare nei lettori la domanda di maggiore eurochiarezza.

(c) 1999 Carlo Pelanda
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