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Carlo A. Pelanda
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Libero

2011-8-2

2/8/2011

Nell’attacco all’euro (e all’Italia) c’è più geopolitica che mercato

E’ molto difficile decidere se i movimenti contro gli eurodebiti dipendano da intenti strategici o da logica di mercato. A favore della seconda c’è l’evidenza che tali debiti saranno difficilmente ripagabili e sostenibili a causa della poca crescita, particolarmente in Italia e Spagna oltre che Grecia e Portogallo, ma anche quelli tedesco e francese con volumi tali da indurre dubbi. Pertanto è normale logica di gestione finanziaria ridurre il rischio in euro, considerando anche una probabilità crescente di sua dissoluzione per difetti di architettura, tra cui l’effetto deflazionistico endemico che la rende insostenibile per parecchie nazioni. Ma i movimenti di mercato, in particolare contro l’Italia, sono andati oltre questa logica prudenziale. Ciò è dovuto alla indecisione tedesca nell’accettare una piena garanzia solidale dei debiti nazionali dell’Eurozona, combinata con una maggiore evidenza del disordine politico in Italia, oppure ad un attacco strategico che usa questi fattori aggiuntivi di sfiducia per amplificare l’offensiva contro l’euro? Gli indizi giustificano il porsi tali domande anche se non permettono di dare una risposta precisa.

A chi gioverebbe, in teoria, una crisi dell’euro? Nell’ordine: sterlina e piazza finanziaria di Londra; dollaro e finanza statunitense. Poi ho un dubbio se le élite tedesche vogliano restare nell’euro o creare un incidente affinché si dissolva. L’euro debole o dissolto porterebbe i flussi di capitale sulla piazza finanziaria di Londra, con rilancio globale delle sue banche azzoppate, e sulla sterlina da poco rinforzata con una manovra di bilancio lacrime e sangue. Ma anche il dollaro guadagnerebbe. Sta rischiando seriamente di perdere il ruolo di moneta di riferimento mondiale in quanto troppo svalutato per motivi stimolativi e di difesa protezionista contro le importazioni eccessive che distruggono i redditi della sua classe media. Se l’euro cedesse, il mercato non avrebbe altra alternativa che quella di restare sul dollaro, pur debole, e mantenere i flussi di capitale sul sistema statunitense, così favorendo una crescita trainata dalla finanza, unica cosa che si può portare in bolla nel prossimo futuro. Si potrebbe obiettare che l’America ha l’interesse contrario di intrappolare l’euro in cambio elevato per esportare di più e così bilanciare la stagnazione interna. Aggiungendo che un dollaro con cambio più forte aumenterebbe il deficit commerciale, il vero cancro destabilizzante. Ma negli ultimi mesi è emerso che l’America potrà tornare a crescere solo ripristinando il modello di economia trainata dalla finanza. Il dollaro non può essere rafforzato con mezzi normali, ma se l’euro cede questo sarà considerato forte comparativamente. Pertanto l’America resta un’indiziata. Può esserlo anche Berlino? Da un lato, la Germania ha un megavantaggio imperiale nel mantenere l’euro che annulla la concorrenza intraeuropea. Dall’altro, l’euro può implodere fuori controllo o diventare una trappola condizionante per la Germania. Quindi il farlo saltare dando la colpa ad altri (la battuta di fantapolitica è che la scelta di un italiano alla Bce abbia avuto tale scopo) permetterebbe a Berlino di tentare un’altra strategia imperiale: marco forte che compensa con flussi finanziari le perdite per concorrenza industriale, asse con Mosca per blindare il rifornimento energetico ed assicurarsi ad oriente le componenti a basso costo per mantenere competitiva la sua grande industria, ecc. Difficile che il governo lo faccia, ma certamente le banche tedesche che avrebbero un megavantaggio ci pensano e ciò qualche effetto potrebbe averlo. Intendiamoci, è fantapolitica, ma alimentata da indizi. Per questo va detto che l’attacco all’euro, ed all’Italia che ne è il ventre molle, diverrebbe impossibile se l’Eurozona accelerasse la costruzione di una garanzia solidale dei debiti nazionali. Su questo punto vedremo la verità.

(c) 2011 Carlo Pelanda
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