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Carlo A. Pelanda
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Libero

2011-4-26

26/4/2011

Per fare crescita bisogna rimuovere almeno uno dei tre vincoli che la bloccano

Dobbiamo capire tre vincoli della politica economica italiana: (a) quelli esterni impongono il pareggio di bilancio e la riduzione progressiva del debito, cioè la priorità del rigore; (b) il mercato interno è denso di aree protette che rendono le unità economiche poco competitive ed ostili alla concorrenza derivata da eventuale liberalizzazione; (c) molta spesa pubblica improduttiva alimenta il ciclo del consenso politico e trova i partiti del tutto ostili a tagliarla per creare nel bilancio pubblico spazio per la detassazione stimolativa. Se non si modifica almeno uno di questi tre vincoli l’Italia è certamente destinata all’impoverimento. Quale sarà possibile togliere?

Tremonti cerca di attutire il primo perché non vuole, o ritiene impossibile, intervenire sugli altri due. Probabilmente sa che non sarà sufficiente. Ma ritiene di poter finanziare il modello interno senza riformarlo, cercando di far pagare a tutti le tasse e tagliando gli sprechi più evidenti. Va detto che Tremonti anche applica una teoria di cui è convinto sul piano scientifico e morale. Teme, semplificando, che la liberalizzazione e la detassazione stimolativa spacchino la società tra poveri e ricchi togliendo risorse allo Stato custode delle garanzie di ricchezza diffusa. La globalizzazione impone più competitività ed efficienza che portano più stress ed incertezza nella vita e Tremonti tenta di limitarli, anche sacrificando parte del potenziale di crescita. Esplicitò questa visione nel libro “Il fantasma della povertà” (1995) scritto con Luttwak e me. In quell’occasione io sostenni, invece, che bisognava investire più denaro pubblico sulla qualificazione del capitale umano per rendere gli individui meglio capaci di resistere allo stress competitivo e di vincere sul mercato. La libertà comporta capacità. Ma Tremonti non ritenne questo concetto applicabile, pur condividendolo, e preferì elaborare una teoria di limitazione del libero mercato per difendere il benessere di massa. E oggi la applica. Anche perché evita cambiamenti traumatici di modello e ciò favorisce il consenso della parte più debole della popolazione, la maggioranza, pur facendo infuriare e penalizzando quella produttiva e competitiva, la minoranza. Il progetto di Tremonti porta al declino controllato, ma potrebbe tenere il sistema stabile per un po’. Se il rigore sarà meno stringente e se l’Italia crescerà  almeno  del 2% annuo. Purtroppo il rigore si annuncia molto stringente e la crescita resta ancorata attorno all’1%. Più che la Ue sarà il mercato ad imporci il pareggio di bilancio entro poco tempo, cioè zero deficit, ed una riduzione continua del volume assoluto del debito. Se non lo faremo, il mercato pretenderà un premio sempre più elevato per rifinanziare il debito pubblico portandone il costo all’insostenibilità e vicino all’insolvenza. Tale rischio porta l’attenzione alla rimozione degli altri due vincoli per fare più crescita che bilanci la deflazione da rigore. Ma la liberalizzazione va fatta gradualmente perché chi non è competitivo non lo diventa in un minuto. E va attuata in una situazione di opportunità crescenti nel sistema che rendono possibile trasferire con successo le unità economiche dal mercato protetto a quello competitivo. In sintesi, la liberalizzazione deve essere successiva alla detassazione stimolativa. Dove trovare i soldi per farla? Ci sono solo quelli ricavabili dalla riduzione degli apparati pubblici nazionali e locali nonché dalla cancellazione dei trasferimenti di denaro pubblico alle imprese (in cambio, appunto, di tasse minori). Ne ricaveremmo tra i 50 e 60 miliardi euro, sufficienti per una detassazione significativa. L’elaborazione del terzo vincolo colpirebbe gli interessi dei privilegiati che vivono nel mercato parassitario, troverebbe l’ostilità assoluta dei politici, ma farebbe crescere l’economia oltre il 3% pur in condizioni di estremo rigore. Proviamoci.

(c) 2011 Carlo Pelanda
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