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Carlo A. Pelanda
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Libero

2011-3-8

8/3/2011

Questo tipo di inflazione richiede nuove soluzioni

Fino a poco tempo fa gli andamenti dei prezzi energetici e degli alimentari erano considerati volatili dalle Banche centrali che per questo non li calcolavano negli indici di inflazione strutturale che determinano la decisione di alzare o ridurre il costo del denaro per disinflazionare o reflazionare un sistema economico. Ora non è più possibile fare così perché l’inflazione indotta dall’aumento dei prezzi energetici e del cibo prevale su quella causata dai cicli di crescita e tende, soprattutto, ad essere indipendente da essi. E ciò succede, semplificando, perché la domanda energetica ed alimentare nei paesi emergenti tende a pareggiare o perfino superare l’offerta globale, pur i consumi di combustibili fossili minori in America ed Europa grazie alla modernizzazione tecnologica. Ciò durerà, creando un enorme problema: questo tipo di inflazione non è contenibile in modo calibrabile dai normali strumenti di politica monetaria. E’ contrastabile solo alzando il costo del denaro fino al punto da mandare in recessione un sistema economico per tagliare la domanda assoluta di cibo ed energia. E non basta farlo in una sola regione del pianeta, per esempio l’Eurozona, perché ciò non inciderebbe sulla domanda di energia ed alimenti in Cina ed India, metà del pianeta. E se lo si fa si rischia di mandare in recessione la propria regione economica mantenendo un’inflazione crescente, l’incubo della “stagflazione”. Cosa fare, nell’Eurozona ed in Italia?

Tremonti ha proposto di contrastare l’inflazione energetica e delle materie prime regolando in senso restrittivo la speculazione dovuta alla finanziarizzazione di questi beni. Ma tale speculazione non sarebbe possibile se non ci fosse un substrato di prezzi in tensione, questo il fattore più rilevante. Inoltre, se si comprime troppo la piattaforma di mercato regolato, magari imponendo di coprire con cassa proporzionale un contratto future su una fornitura di grano o petrolio, le contrattazioni andranno su mercati non regolati e sarà peggio. In sintesi, la regolazione della speculazione non è una soluzione. Non lo è nemmeno il rialzo del costo del denaro, per i motivi detti sopra, pur la Bce dovendolo attuare per non lasciare negativi i tassi, cioè inferiori all’inflazione effettiva. Con una complicazione che potrebbe essere evitata. Se la Bce alza i tassi prima della Riserva federale, il dollaro scenderà. Poiché il prezzo del petrolio è fissato in dollari i produttori bilanceranno la perdita di cambio alzando i prezzi del petrolio. E, in base ai dati degli ultimi anni, lo faranno in modo più che proporzionale. Per questo motivo l’intenzione della Bce di ridurre con euro alto l’inflazione importata via beni in dollari viene vanificata perché l’aumento dei prezzi contagia anche quelli in euro. Ci vorrebbe un coordinamento tra Bce e Riserva federale. Ma non sembra esserci. Siamo senza vere soluzioni e dobbiamo accettare come ineluttabile il rischio crescente di recessione combinata con inflazione? No, le soluzioni ci sono, ma implicano cambiamenti piuttosto impegnativi, forse per questo taciuti dai governi. Il prezzo del petrolio è fissato principalmente dai regimi dei paesi produttori. Alcuni dovranno essere messi decisamente sotto influenza, altri, per esempio la Russia, coinvolti in accordi di co-interessenza con gli europei ed americani. L’Europa può fare molto per ridurre l’inflazione alimentare globale aumentando l’offerta via liberalizzazione delle produzioni agricole ora limitate. Ambedue le azioni sono difficili. Ma non c’è alternativa. Come non c’è alternativa, nel breve termine, al ridurre in Italia la tassa sui carburanti per tenerne costanti i prezzi ed evitare il contagio inflazionistico. Queste soluzioni non piacciono alla politica, per i rischi di dissenso interno e guai esteri, ma non possiamo accettare non-soluzioni che ci portano recessione combinata con inflazione.

(c) 2011 Carlo Pelanda
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