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Carlo A. Pelanda
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2010-3-30

30/3/2010

Tre anni per tagliare spesa e tasse

I risultati delle elezioni amministrative fanno intendere che maggioranza e governo avranno piena facoltà d’azione nel prossimo triennio caratterizzato dall’assenza di appuntamenti elettorali critici. Pertanto potrà tentare riforme coraggiose, quella fiscale una priorità assoluta per aumentare la crescita Ma quanta detassazione è possibile?
Poca, se non si cambia modello. Molta se il governo avrà la volontà politica di cambiarlo. Il problema di fondo è che le regole della Ue non permettono  detassazioni in deficit temporaneo. Se lo ammettessero, si potrebbe ridurre il carico fiscale su imprese e persone fisiche, ottenere un effetto crescita grazie alla maggior quantità di capitale lasciato al mercato per impieghi produttivi (consumi e investimenti), che poi aumenterebbe il gettito fiscale pur con tasse minori. Tale transizione potrebbe prendere dai tre ai cinque anni, in condizioni di tiraggio del mercato globale. Ma è un sogno. La Ue  mai permetterà ad alcuno, ed in particolare all’Italia con un debito così montagnoso, un deficit temporaneo oltre il 3% del Pil e continuerà a richiedere il rispetto degli europarametri ogni singolo anno. Per inciso, la dottrina, pur informale, in materia è: uno Stato raggiunga il deficit zero e dopo questo potrà usare eventualmente lo spazio del 3% di deficit annuo ammesso per tentare detassazioni. Ma perfino tale dottrina è a rischio perché la Germania ha messo in Costituzione, nel giugno del 2009, il divieto di fare deficit annui a livello federale (dal 2016) e locale (dal 2020). Berlino pretenderà, per restare nell’euro, che anche gli altri Stati facciano lo stesso. In generale, se ci ribellassimo a questi vincoli d’ordine contabile il mercato ci punirebbe non rifinanziando il nostro debito pubblico o facendolo a costi paurosi degli interessi (che già ci pesano per ben 70 miliardi all’anno, quasi 5 punti di Pil!). In sintesi, se vogliamo meno tasse non c’è altra via che quella di cambiare il modello politico/economico in una direzione che riduca la spesa pubblica. Per questo la riforma fiscale è un incubo per la politica. Lo Stato spende dai 20 ai 30 miliardi in contributi alle imprese e simili che potrebbero essere eliminati e trasformati in detassazione. Non ci sono organismi di controllo nel merito della spesa sanitaria ed in questo settore, certamente, si potrebbero fare dei risparmi notevoli senza incidere sulla qualità del servizio, diciamo 15 miliardi. Certamente altre risorse potrebbero venire dall’eliminazione di sprechi. Mi sono fatto l’idea che potremmo risparmiare almeno 50 miliardi secchi annui di spesa con tagli da attuare subito (ci vuole un tempo tecnico di attuazione diluita per evitare l’effetto deflazionistico). E altrettanti in prospettiva se si allungasse l’età del pensionamento per i lavori meno dipendenti dall’età e si ammettesse il pensionamento facoltativo. In tale logica si potrebbe ridurre parecchio il carico fiscale attraverso una riforma per moduli da attuare gradualmente. Ma maggioranza e governo dovrebbero essere capaci di resistere alle pressioni dei poteri forti che non vogliono perdere privilegi pubblici, dei partiti che avrebbero meno risorse clientelari da erogare, della gente che vive di assistenzialismo aizzata dagli antagonisti. Difficile, lo sappiamo.  Ma nei prossimi tre anni pretendiamo che i politici di area liberale, pur vaga nel centrodestra italiano, diventino eroi dandoci quel progetto nazionale e liberale che aspettiamo dal 1994.  

(c) 2010 Carlo Pelanda
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