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Carlo A. Pelanda
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2016-8-1

1/8/2016

La priorità degli investimenti

Le proiezioni di crescita del Pil 2016 sono state riviste al ribasso per l’Eurozona e l’Italia. L’economia della seconda dovrebbe finire l’anno tra lo 0,6 e lo 0,8% invece che sopra lo 1% previsto. Da un lato, la ripresa che passa da lenta a lentissima è comunque un miglioramento economico con effetti diffusi. Dall’altro, se la stagnazione della crescita continuerà anche nel 2017 la ripresa della fiducia si invertirà trasformando la ripresa lentissima in nuova recessione o stagnazione endemica, aumentando così il rischio di un declino strutturale dell’economia italiana. Purtroppo le previsioni per l’anno prossimo non sono buone: bene che vada la crescita resterà attorno all’1%, ma è probabile che punti più in basso. Questa proiezione incorpora un calo tendenziale, o comunque la non ripresa, della domanda globale, cioè la minor forza del traino esterno per l’economia italiana. In questo settore le previsioni sono rese incerte dalla densità di eventi politici nel 2017, per esempio le elezioni in Francia e Germania che possono determinare cambiamenti dell’architettura politica del mercato europeo con conseguenze espansive o destabilizzanti sull’economia, senza dimenticare l’impatto globale, che potrà essere positivo o negativo, delle elezioni presidenziali in America nel novembre 2016. Ma in questa nebbia, tuttavia, c’è un punto chiaro: aumentare gli investimenti privati e pubblici nel mercato interno. La stagnazione in Italia è dovuta al fatto che il calo del traino esterno non è stato bilanciato da un incremento degli investimenti interni. Il governo non sta facendo male, ma nemmeno quello che dovrebbe attuare in fretta: riallocare spesa pubblica dagli impieghi improduttivi a quelli produttivi e ridurre le tasse per stimolare investimenti e consumi privati. In realtà il linguaggio del governo punta a tale obiettivo, ma i fatti, analizzabili nelle proiezioni del bilancio statale, mostrano che le risorse stimolative messe in campo saranno insufficienti e i tempi inadeguati. Da un lato, sul piano tecnico, le risorse sufficienti ci sarebbero. Dall’altro, sul piano politico, il governo non se la sente di rielaborare il regime fiscale e la spesa pubblica in modi così intensi e rapidi da colpire chi vive in situazioni protette e fornisce all’attuale maggioranza la base principale di consenso, a ridosso di appuntamenti elettorali. Il problema è facile da analizzare. La soluzione è difficilissima. Secondo me il rischio per l’Italia è tale da richiedere un governo, o un accordo, di unità nazionale che possa liberare le risorse necessarie.

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