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Carlo A. Pelanda
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2008-6-16

16/6/2008

L’Europa deve ritrovare il pragmatismo che la creò

Un’inelegante e forse arrogante battuta sentita in una piazza finanziaria europea rende, tuttavia, il sentimento di chi si occupa di economia in relazione all’ennesimo stop (Irlanda) del processo di costruzione dell’Unione europea: “basta con i dilettanti, entrino in campo i professionisti”. Chi scrive è d’accordo, nel seguito il perché.

Ci sono due vantaggi nell’Unione europea: (a) creazione di un mercato unico a partire da quelli nazionali che, solo per geometria, promette di aumentare il volume complessivo degli affari; (b) un’area economica e monetaria di più di 400 milioni di persone è in grado di far pesare i suoi interessi nei confronti degli altri giganti mondiali già esistenti (Usa) o emergenti (Cina, India e Russia). A fronte di tali vantaggi è razionale che una nazione paghi il prezzo di cedere la propria sovranità economica perché il beneficio è superiore al costo. Ma ora ci troviamo nella situazione sgradevole e preoccupante di aver ceduto sovranità (eurovincoli) senza il vantaggio di un’Europa economicamente integrata e geopoliticamente influente. La colpa non è degli irlandesi che hanno bocciato il referendum relativo al modello di governo europeo, e nemmeno degli olandesi e francesi che lo fecero in precedenza. Il problema è che il modello che si vuole imporre agli europei è sbagliato e quindi vulnerabile alla bocciatura da parte del processo democratico. Poiché giovedì prossimo gli eurogoverni si riuniranno per cercare una soluzione al blocco dell’integrazione istituzionale europea è utile che voi lettori sappiate che il difetto sta nel metodo e non nella gente che lo boccia.

Fino al 1989 l’integrazione europea procedeva benissimo perché guidata dal metodo “funzionalista”: le nazioni cedono sovranità spontaneamente ad un agente europeo nei casi dove sia chiaro il loro vantaggio; nei casi, invece, dove non lo è l’integrazione viene posposta. Tale metodo portò all’Atto unico del 1985 dove il livello di integrazione economica proposta, prevista ed accettata era superiore a quello realizzato dai successivi Trattati di Maastricht (1993) fino all’ultimo, quello di Lisbona ora a rischio. Perché? Nel 1989 si è passati dal metodo “funzionalista”, dal basso verso l’alto e pragmatico, a quello “gerarchico” ed idealistico. Francia ed altri, preoccupati del riemergere imperiale della Germania riunificata, vollero imbrigliarla costringendola a mollare il marco. La Germania, per altro, non volle la riesumazione della “questione tedesca” in Europa ed accettò di essere europeizzata, ma imponendo un euro che di fatto era la continuazione del marco. Tale scopo politico creò un metodo idealistico/impositivo di fare prima il tetto e poi i muri, per questo l’euro crea tanti problemi, e mescolò ambiguamente la diarchia franco-tedesca di fatto con il concetto idealistico di Europa come supernazione che abolisce le altre. Ma l’Europa è fatta di nazioni. Inoltre per realizzare un mercato unico e per contare nel mondo non occorre fonderle, ma basta un’alleanza tra loro. Da un lato l’euro, dal quale non si può tornare indietro, implica un comando centrale. Dall’altro si può trovare benissimo un compromesso pragmatico tra verticalità e flessibilità nazionali. Basta cercarlo con scienza e buon senso abbandonando un modello di Europa astratto, infattibile ed inutile. I professionisti e pratici saprebbero trovarlo recuperando il vecchio metodo “funzionalista”, adattato. Speriamo che i governi ritrovino un po’ di sano pragmatismo e ci diano l’Europa solida e pratica che serve a noi cittadini.

(c) 2008 Carlo Pelanda
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