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Carlo A. Pelanda
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2008-5-5

5/5/2008

Emergenza energia

Alle brutte notizie che ci arrivano dalla pompa di benzina o dal fornitore di gasolio dobbiamo purtroppo aggiungere l’ipotesi sempre più probabile che il prezzo base del petrolio (e gas a cui è, stranamente, agganciato) tenderà a salire nel prossimo decennio verso i 150 dollari al barile, con picchi ben oltre, invece che oscillare attorno ai 50. E ricordo ai lettori che dieci anni fa l’oscillazione era tra i 10 ed i 30. E’ finito il mondo del petrolio a costo basso e dobbiamo prepararci seriamente a quello nuovo.

La comunità di ricerca che analizza i fenomeni energetici era finora divisa tra chi vedeva il petrolio abbondante, l’impennata recente (dal 2004 in particolare) del suo prezzo un’anomalia destinata a rientrare, e chi anticipava un rialzo tendenziale costante a causa della domanda crescente nei Paesi in via di rapida industrializzazione. I dati più recenti danno ragione ai secondi. Tali stime possono essere precisate solo conoscendo sia il volume complessivo di riserve nel mondo ed il suo variare al mutare del prezzo. Per esempio, certi giacimenti sono remunerativi oltre un certo prezzo, tipo le sabbie bituminose, e non sotto. Il prossimo novembre, a Londra, vi dovrebbe essere un chiarimento di questo dato essenziale. Ma anche nel migliore dei casi l’offerta inseguirà la domanda generata da circa tre miliardi di nuovi consumatori nel pianeta, facendo fatica a soddisfarla, a parte i periodi di recessione, e ciò terrà in tensione rialzista i prezzi. Le economie mature, dove sono già in opera sistemi di risparmio e di energia alternativa, stanno in realtà facendo calare la domanda areale di petrolio, ma, appunto, questa cresce in modo sproporzionato nei Paesi emergenti. I modelli economici assegnano una data percentuale di calo del Pil in relazione ad un tot di aumento dei prezzi energetici al consumo. Se li applichiamo ad un tendenza ventennale verso i 200 dollari al barile di fronte a noi c’è il disastro. Potremo evitarlo?

L’energia nucleare, anche per la sua pulizia, sarà certamente riscoperta dopo tre decenni di demonizzazione. Tutte le energie alternative saranno esplorate. Ma c’è la preoccupante sensazione – non ancora un “dato” – che l’energia sostitutiva di petrolio e gas non sarà sufficiente per ridurre sostanzianzalmente i prezzi dei carburanti fossili. In teoria potremmo avere centrali nucleari di nuova generazione in circa 7 anni. In pratica è improbabile che ciò avvenga prima di 20 nei Paesi ricchi (Francia a parte) a causa di problemi di consenso e costo. Il fotovoltaico (solare), anche nella migliore evoluzione, coprirà poco fabbisogno. L’eolico anche, l’idrogeno più una chimera, comunque basata sul ciclo del petrolio, che una realtà prospettica. In sintesi, c’è un ritardo nell’applicazione di tecnologie alternative ed una forte inerzia dei sistemi basati sul ciclo del petrolio. Ogni governo, quello italiano con il doppio di sforzo, dovrà colmare il primo ed i lettori devono rendersi conto dell’emergenza per dare consenso a soluzioni accelerate, pena l’impoverimento. In conclusione, bisogna accettare e spingere la scelta nucleare, investire più risorse nel perfezionamento di fonti alternative e di sistemi che le mixino. Ma bisognerà anche produrre petrolio sintetico dal riciclo dei rifiuti organici per allungare il ciclo del petrolio stesso riducendone i prezzi. Lo scenario è preoccupante, ma la buona notizia è che se la politica ed il consenso si renderanno conto della realtà troveranno buone soluzioni tecnologiche in rapido sviluppo, quella dei nuovi combustibili sintetici (www.vuzeta.com) tutta italiana.

(c) 2008 Carlo Pelanda
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