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Carlo A. Pelanda
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2008-9-1

1/9/2008

La sorpresa americana

Si ricomincia. Le sorti dell’economia italiana dipendono, semplificando, per il 30% da quanto il governo saprà fare e per il 70% dall’andamento del mercato mondiale. L’Italia, così come Francia, Germania, ha un modello politico/economico che comprime la crescita interna per eccesso di tassazione, vincoli di protezionismo sociale e mancanza di concorrenza. Per tali motivi il nostro sistema economico dipende moltissimo dall’export – l’unico settore economico con la possibilità di espansione oltre, ma meno, al turismo ed al nuovo tipo di azienda agricola che anche produce energia  -  e quindi dalle locomotive economiche globali. Queste sono l’America, la Cina e, per l’area interna europea, la Germania, questa ultima compressa dagli stessi problemi strutturali dell’Italia, ma dotata di un sistema industriale molto forte che si avvale, per le componenti, delle forniture prodotte nel resto dell’Europa, molte dalle nostre piccole imprese. La locomotiva principale resta l’America, pur per l’Italia rilevanti la Russia ed il mondo arabo nei settori del lusso, la Cina importante, ma non determinante quanto la prima. In particolare, l’effetto locomotiva dell’America ha un carattere diffuso che nessun altra economia mostra in tali dimensioni: tutti i Paesi esportano negli Stati Uniti ed a loro volta importano per costruire gli oggetti da esportare con un effetto a catena. In sintesi, il mercato americano resta quello centrale nell’economia planetaria ed i suoi andamenti decidono il nostro livello di ricchezza. Quindi per capire se continuerà la recessione italiana e quando ne usciremo, per prima cosa, vanno analizzate le tendenze negli Stati Uniti.

E qui c’è la sorpresa. Tutti gli analisti, compreso chi scrive, si aspettavano che in questi mesi l’America fosse nel picco recessivo. E si dividevano sull’intensità e durata della crisi indotta dall’inflazione energetica e dalla restrizione del credito a seguito del noto terremoto nel sistema bancario. Invece nel secondo trimestre il Pil americano è cresciuto oltre il 3% in base all’ultimo revisione dell’ufficio statistico locale. Il settore immobiliare è in crisi, ma non è imploso. Il sistema bancario regge ed il credito tiene. Il sistema manifatturiero è forte nonostante la crisi del settore automobilistico. Perché? Il dollaro basso ha aumentato l’export. L’autorità monetaria ha gestito bene la crisi finanziaria e ridotto tempestivamente il costo del denaro. La tanto criticata Amministrazione Bush, riducendo le tasse per la classe media e aumentando la spesa pubblica per interventi infrastrutturali oltre che per lo sforzo bellico, ha tenuto in espansione i consumi interni. Alcuni sostengono che questo è un sussulto di crescita drogata che non eviterà la recessione in autunno. In effetti alcuni dati sostengono questa previsione. Ma molti altri reggono l’ipotesi opposta. Inoltre in America è in corso un processo di rinnovamento psicologico di massa trainato dai simboli di rigenerazione nazionale proposti sia dal democratico Barak Obama sia dal repubblicano John McCain. Indipendentemente da chi sarà eletto presidente, dopo il 4 novembre l’America tutta sarà più ottimista, rigenerata. Tale effetto psicologico combinato con un’economia vitale fa ipotizzare che se anche vi sarà una tendenza recessiva questa sarà breve e si invertirà nel 2009 producendo una nuova fase di crescita robusta non inflazionistica. In conclusione, possiamo essere ottimisti anche nella stagnazione corrente perché il traino esterno della crescita resterà elevato.

(c) 2008 Carlo Pelanda
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