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Carlo A. Pelanda
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2007-11-12

12/11/2007

Picco dei prezzi petroliferi
Non è un problema di scarsità ma di speculazione

I lettori fanno due domande. Cosa veramente alza i prezzi dell’energia? Perché il governo non li modera riducendo le tasse di cui sono gravati?   

Da un lato, i prezzi del petrolio sono in rialzo perché aumenta la domanda da parte di paesi di nuova industrializzazione, Cina ed India in particolare. Dall’altro, nei paesi più industrializzati il consumo di carburanti fossili tende a scendere perché stanno andando regime risparmi energetici, fonti di energia alternativa, ecc. Inoltre, da qualche anno, c’è un picco di nuovi investimenti per rendere più efficienti i sistemi di estrazione di petrolio e gas. Tra  qualche tempo, quindi, dovremmo vedere l’effetto di tale efficienza in termini di maggiore quantità di materiale estratto a minori costi di produzione. Non è finita. Più si alza il prezzo più c’è il motivo economico per cercare nuovi pozzi. E si è scoperto che petrolio e gas sono abbondanti nel globo, per secoli. In particolare, il cartello dei Paesi produttori, l’Opec, ha interesse a non aumentare troppo i prezzi del greggio per non indurre recessioni globali, che poi farebbero calare consumi e prezzi, e per non  incentivare una troppo veloce ed ampia sostituzione delle fonti di energia fossile con quelle alternative. Ciò significa che i picchi a cui è arrivato il prezzo dell’oro nero (verso i 100 dollari al barile) non sono motivati, in realtà, da condizioni di scarsità né correnti né prospettiche. E allora cosa li alza? Maulgeri, sul Sole 24 Ore di qualche giorno fa, ha ipotizzato che l’impennata derivi dalla percezione che qualche evento geopolitico (Iran) potrebbe rendere scarso il petrolio nel prossimo futuro. I compratori sono disposti a pagare follie pur di riassicurarsi contro il rischio di non ricevere i rifornimenti. Vero. Va aggiunto che il crollo del dollaro, con cui è prezzato il petrolio, induce ad alzarne i valori per mantenere elevato il profitto calcolato in valuta bilanciata. Ma c’è ben di più e peggio. Nella finanza del ciclo del petrolio ci sono anomalie evidenti. Per esempio, non c’è scarsità oggettiva, ma ti metto paura e ti faccio pagare un tot spropositato al barile. Ipotizzo che su 100 dollari almeno circa i 2/3, siano dovuti ad un rigonfiamento speculativo basato su opacità. L’analisi tecnica in questa materia imporrebbe di valutare atri aspetti del ciclo dell’energia (raffinazione, trasporto, ecc.) dove ci sono delle criticità che possono far variare i prezzi. Ma, alla fine, l’impennata è attribuibile alla speculazione. Cosa si può fare? Un’autorità competente dovrebbe indagare molto seriamente ed è incomprensibile perché ciò non sia stato ancora fatto. Ed è un punto. Il secondo è che il rialzo dei prezzi, in Italia, può essere neutralizzato riducendo proporzionalmente le tasse specifiche sui carburanti. Ma ciò non sta avvenendo ed i prezzi italiani sono i più alti in Europa. Paura del governo di perdere introiti fiscali? In realtà il gettito a cui rinuncerebbe lo Stato sarebbe un danno immensamente inferiore all’aumento dell’inflazione indotta dall’aumento dei costi energetici. La scelta di calmierare i prezzi con la defiscalizzazione è inspiegabile sul piano della razionalità economica. Così come lo è un altro fenomeno nostrano. Siamo stati incentivati a comprare auto a motore Diesel perché, semplificando, si fanno più kilometri con un litro di gasolio che di benzina. Ora che lo abbiamo fatto in tanti il prezzo del gasolio è aumentato (12,5%) più di quello della benzina (9%) negli ultimi due anni. In conclusione, il mercato globale dell’energia è distorto da opacità peggiorate, su quello nazionale, dalla voracità fiscale dello Stato.

(c) 2007 Carlo Pelanda
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