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Carlo A. Pelanda
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2006-12-11

11/12/2006

Nel 2007 la Bce dovrebbe calmarsi

Come annunciato la Banca centrale europea ha elevato il costo del denaro - tassi di riferimento – dal 3,25 al 3,50%. Più volte su queste pagine ho criticato la Bce per la scelta di alzare troppo i tassi in relazione al rischio reale di inflazione prospettica. Ed ho enfatizzato che l’Italia soffre più di altri europei la stretta monetaria per la sua bassa crescita, per la massa anomala di famiglie che ha acceso mutui  a tasso variabile e per l’aumento della spesa per pagare gli interessi del debito pubblico. La Bce rende insostenibile l’euro per l’Italia e quindi pone a rischio l’euro stesso.  Potrei aggiungere a queste critiche altre di tipo più tecnico, per esempio l’assurdità di una Banca centrale che preferisce rischiare la recessione piuttosto che un pelino di inflazione. E’ un problema senza sbocco fino a che non si cambierà lo statuto della Bce, aggiungendo la missione di stimolazione della crescita a fianco di quella di difesa dall’inflazione stessa. Ma la Germania non vuole cambiare tale statuto. Inoltre prevale nella Bce la tradizione della Bundesbank dove il rigore monetario era perseguito anche a scapito dell’economia reale. Tutto questo fa parte del dibattito europeo da molti anni, ma la Bce prosegue sulla sua strada, con i suoi criteri. Quindi è inutile esasperare la critica con  il rischio di delegittimare per eccesso di polemica l’unica vera istituzione europea. La Bce è molto criticabile, appunto, per alcune scelte e per i modelli scientifici che usa (di cui infatti è prevista la revisione nel 2008), ma è una istituzione giovane in fase di apprendimento e comunque credibile per la capacità di difendere il valore della moneta anche se ci riesce ad un costo sociale troppo elevato. E’ utile, invece, cercare di prevedere se alzerà ancora i tassi combinando un disastro oppure no, limitando quello già fatto. E capire se apprenderà come non fare nuovi disastri.

La Bce non ha escluso di poter portare il costo del denaro al 3,75% o perfino il 4 entro, il 2007. La motivazione è che l’economia dell’eurozona sta crescendo parecchio per spinta interna e quindi c’è un rischio di inflazione da correggere almeno 18 mesi prima per evitarla. La buona notizia è che difficilmente lo farà e che molto probabilmente si fermerà al 3,50 per tutto l’anno prossimo. Il motivo è che la crescita europea sarà dimezzata dall’impatto del cambio troppo alto dell’euro sul dollaro e ciò penalizzerà le esportazioni. Un po’ meno quelle tedesche il cui sistema industriale si è adattato all’euro forte, ma parecchio quelle francesi ed italiane e di altri. La Bce ha ragione nel vedere una ripresa - dopo tanti anni – nell’eurozona, ma ne esagera la portata. Quando i dati saranno evidenti dovrà calmarsi, anche per evitare un’insurrezione dei governi e dei lavoratori contro Francoforte. Ma più di questo, ed entro tale schema di scenario, peserà la crisi del dollaro. Questo, prima di risalire di nuovo, deve scendere ancora e, forse, per un po’ di tempo. Il motivo è che l’America importa molte più merci di quante ne esporta. La moneta deve scendere per ribilanciare queste uscite ed entrate. Ma se scende troppo sarà recessione pesante nelle economie esportatrici asiatiche ed europee. Se i tassi dell’euro saliranno ancora ciò spingerà in basso il dollaro rendendo certa una grave crisi dell’economia europea. In base a questa ipotesi ritengo che nei prossimi due anni la Bce sarà costretta a riportare i tassi più verso il 3 che il 4%. Lo spero perché ritengo che la giovane Bce imparerà a leggere i dati e, maturando, a controllare la propria ansietà che porta a restrizioni monetarie eccessive.

(c) 2006 Carlo Pelanda
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