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Carlo A. Pelanda
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2006-11-20

20/11/2006

Una finanziaria poco credibile

Questa settimana la bozza di finanziaria arriva al Senato. Subirà delle modifiche, ma in sostanza il suo impianto di fondo resterà inalterato e passerà come è a colpi di voto di fiducia. Pertanto possiamo valutare prima dell’approvazione finale la strategia economica del governo Prodi per il 2007.

Sul piano macroeconomico sono rilevanti i cosiddetti “saldi”, ovvero la capacità di restare entro i parametri di equilibrio della finanza pubblica imposti dai trattati europei. Sulla carta la finanziaria è calibrata per contenere il deficit annuo del bilancio statale sotto il 3% (2,9%) in relazione al Pil, cioè l’indicatore grezzo di crescita economica. Il governo è convinto di riuscirci. Ma è difficile credergli. Il punto è il rapporto deficit/Pil, il primo nel posto del “numeratore”, il secondo in quello del “denominatore”. I dubbi a livello di numeratore sono dovuti alla vaghezza di alcune entrate statali previste dalla finanziaria. Per esempio, il pensare che dalla lotta all’evasione possano venire fuori parecchi miliardi di euro in breve tempo appare ipotesi piuttosto incerta. Ancor più vago è il come e il quanto lo Stato riporterà nel proprio bilancio l’immissione dei denari del Tfr che le imprese forzosamente dovranno trasferire all’Inps. Se tutti i lavoratori optassero per l’impiego dei loro soldi accantonati per la liquidazione in fondi pensione integrativi non vedo come lo Stato potrebbe riportare tali somme nella voce entrate. Il governo ritiene di aver chiarito la questione. Sarò scemo – nel caso me ne scuso – ma per me ed altri non è per niente chiaro. Quindi è lecito ipotizzare che circa una decina di miliardi di euro previsti come entrata certa siano in realtà una posta di bilancio piuttosto aleatoria. Ma la preoccupazione maggiore riguarda il denominatore, cioè la previsione di crescita del Pil. Va detto che il governo è stato abbastanza prudente nel stimarla attorno allo 1,5% circa per il prossimo anno mentre istituzioni importanti sono più ottimiste per l’Italia e l’eurozona. Ci sono segni, infatti, che potrebbero sostenere tale ottimismo: il prezzo del petrolio tende a calare e a ridurre il suo effetto tipicamente recessivo, Cina ed India tirano l’economia globale e quindi anche l’export europeo ed italiano. Ma in Germania ci si attende un certo calo dei consumi a seguito dell’aumento dell’Iva. Il valore di cambio dell’euro tende a restare molto alto sul dollaro penalizzando la competitività valutaria delle eurosportazioni. La crescita americana sta rallentando parecchio. Inoltre l’aumento dei tassi monetari alzerà il costo dei mutui variabili, tantissimi in Italia, e toglierà denari ai consumi delle famiglie, anche compressi da una pletora di nuove tasse. Mettendo insieme questo secondo insieme di dati, pur scontando la tenuta dell’economia globale, sarebbe in realtà più prudente prevedere una crescita non superiore allo 1% dell’economia italiana. In tal caso il peggioramento dei numeri al denominatore farebbe saltare l’equilibrio finanziario peggiorando il deficit in rapporto al Pil stesso. Se poi le entrate non saranno quelle promesse tale peggioramento potrebbe essere molto vistoso e richiedere manovre di tassazione straordinaria. Forse il governo è tranquillo per questo. Se le cose andranno peggio del previsto ribilancerà i conti con più tasse. Il decreto fiscale promosso da Visco, infatti, sembra anche preparare l’apparato dello Stato a gestire prelievi straordinari in caso di emergenza. In conclusione, sul piano dei saldi la finanziaria non è credibile e lo diventa solo se si prevedono ulteriori tasse. Più che una finanziaria sembra una minaccia.

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