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Carlo A. Pelanda
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2006-4-3

3/4/2006

Economia globale
La tendenza al rialzo dei tassi

E’ importante non perdere di vista cosa succeda all’economia globale perché dai suoi andamenti arrivano notizie sia buone sia preoccupanti. Questa mostra di poter restare  nella fase di “boom” iniziata nel 2002, che ha raggiunto un picco nel 2004 (quasi + 5% di crescita complessiva del pianeta) e che si sta assestando su un incremento tendenziale sopra il 4% per l’anno in corso e per il 2007. A tale strepitosa crescita mondiale contribuiscono, per quasi l’1%, quella robusta negli Stati Uniti, mercato che attrae e regge le esportazioni di tutto il mondo, e l’enorme sviluppo di Cina ed India che stanno crescendo al ritmo dell’8% annuo. Dopo l’estate del 2006 ci si attende un leggero rallentamento della crescita globale a causa di una frenata negli Usa. Cerchiamo di capire perché e come tale fenomeno ci riguarderà da vicino.

Il problema principale riguarda la tenuta finanziaria dell’economia americana. L’America importa una quantità di merci enormemente superiore a quella che esporta. Tale sbilanciamento – deficit commerciale -  deve essere compensato in modi finanziari: i dollari che escono dal sistema nazionale per pagare gli esportatori devono rientrare in qualche modo. Se non si fa così crolla la moneta.  In quale quantità? Impressionante: ogni mese dovrebbero rientrare qualcosa come 60 miliardi di dollari (50 miliardi di euro, cioè centomila miliardi di vecchie lire) nel circuito finanziario statunitense. La Cina ha ormai nelle sue riserve di valuta estera qualcosa come 800 miliardi di dollari. La Corea del Sud circa 200. I Paesi emergenti ed esportatori hanno tutto l’interesse a tenere in vita la capacità importativa del mercato interno americano e per questo fanno di tutto per rimandare indietro i dollari. Per esempio, comprando titoli di debito del tesoro statunitense. In sintesi, come fece il Giappone nei decenni scorsi, gli esportatori finanziano il deficit commerciale statunitense. Ma quanto può ancora reggere tale tipo di equilibrio – che traina la crescita mondiale – al crescere dei volumi finanziari di ribilanciamento? Non c’è una soglia fissa – quella stabilita dalla teoria economica è stata superata da tempo -  ma è diffusa la sensazione che si sia ai limiti di sostenibilità, oltre i quali ci sarebbe il crollo del dollaro. Inoltre questa massa sproporzionata di liquidità in dollari sta alzando i prezzi nel circuito finanziario globale, una forma di inflazione. In sintesi, prima o poi bisognerà calmierare e mettere sotto controllo il deficit commerciale americano. E che ciò sia necessario più prima che poi viene dimostrato dall’altrimenti incomprensibile, in base alle condizioni interne, rialzo stellare del costo del denaro attuato la scorsa settimana dall’autorità monetaria americana (Fed): 4,75%, con annuncio di portarlo al 5% entro l’estate. A questi livelli è certo che il costo del denaro inneschi una contrazione della crescita americana. Detto altrimenti, il nuovo presidente della Fed, Bernanke, preferisce rischiare la recessione dell’economia reale per ridurre la quantità di importazioni  piuttosto che l’inflazione finanziaria o il crollo della moneta. Infatti si muove verso uno scenario di crescita americana più lenta, attorno al 2,5 – 3%, alla fine del 2006. Tale numero considerato di calmieramento, se comparato allo scenario migliore di crescita europea per quest’anno, circa il 2% (1,3% per l’Italia), fa riflettere amaramente sul nostro continente. Ma la riflessione più preoccupante è che il rialzo dei tassi americani trainerà quello in euro, probabilmente al 3%. Troppo per chi paga un mutuo e per le euroeconomie che avrebbero bisogno, invece, di un costo del denaro molto inferiore. 

(c) 2006 Carlo Pelanda
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