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Carlo A. Pelanda
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2004-6-28

28/6/2004

Economia in cerca di giovani

Ogni anno nel mese di giugno le nazioni e gli istituti internazionali aggiustano gli scenari relativi agli andamenti economici in corso e futuri. I dati dei primi usciranno tra poche settimane. Già si può dire che confermeranno la crescita globale in corso con un freno dovuto all’incertezza geopolitica. Ma quest’anno la novità più importante riguarda i secondi: nelle proiezioni cominciano a pesare dei fattori di mutamento della struttura della popolazione che finora erano considerati un problema teorico, ma non ancora attuale: si sta avvicinando il momento in cui vi saranno più vecchi che giovani. Parte del fenomeno riguarda un’ondata che avrà un picco, nel 2025, e poi si esaurirà. Dopo la Seconda guerra mondiale vi fu un boom di nascite negli Stati Uniti ed in Europa e questa generazione tra poco entrerà nell’area del pensionamento. Che non sarà compensata dai numeri di nuovi giovani per un certo periodo. Dopo di questo, negli Usa, vi sarà un riequilibrio tra vecchi e giovani in quanto quella nazione ha un alto tasso di immigrazione che compensa la minore o stagnante fertilità della popolazione già residente. Ma per l’Europa il problema sarà molto più grave in quanto fa meno figli e si apre molto poco, in senso relativo, all’immigrazione. Ciò fa prevedere attorno al 2030 un picco di crisi demografica che potrebbe portarne una economica sistemica. Ma – ed è la notizia -  tale tendenza si avverte già oggi con un impatto rilevabile sulla crescita della ricchezza. Quindi è utile cominciare ad analizzare nei pur sbrigativi commenti sui quotidiani la relazione tra demografia ed economia per accendere le consapevolezze utili a risolvere il problema.

La scorsa settimana il governatore della Banca d’Italia, Fazio, ha lanciato un allarme in materia: non vi può essere crescita economica se non c’è crescita demografica. Se cioè, il numero di giovani non supera quello dei vecchi. Ma anche se la quantità dei primi resta stagnante. Ha voluto dire che l’Europa già ora comincia a risentire gravemente dei problemi di squilibrio demografico. Per esempio, più figli significa più domanda di insegnanti, poi di case, poi di consumi, ecc. Se, invece, la popolazione è decrescente anche l’economia si contrae. Con una complicazione: i fondi pensionistici sia pubblici sia privati  sono alimentati da un’economia crescente. Se questa stagna vi saranno anche meno denari per i pensionati oppure il costo delle pensioni diverrà insostenibile. E questo è il primo segno evidente della relazione tra demografia ed economia. Al momento gli Stati stanno tentando di aggiustare le cose con l’intento di bilanciare nei prossimi dieci anni lo squilibrio finanziario. Ma è solo un’aspirina, il problema ha bisogno di soluzioni ben più robuste, strutturali.

Due saranno inevitabili: (a) aumentare il numero di immigrati che prendono la cittadinanza nei Paesi ricchi che si stanno spopolando in modo da riempirli di forza giovane; (b) non imporre il pensionamento all’anziano che si sente fisicamente e mentalmente in grado di lavorare, ovviamente lasciando le tutele a chi non è in tali condizioni. La prima soluzione implica non solo un’apertura maggiore dei confini per attrarre più immigrati, ma anche un sistema di investimenti per qualificarli come capitale umano che poi si trasformerà in crescita economica e finanziaria. La seconda implica un’innovazione nel diritto sostanziale e formale del lavoro: se uno vuole lavorare ha il diritto di farlo fino a che gli pare. Ambedue sono concetti che porteranno a molte controversie, le vedremo esplodere nei mesi ed anni futuri, ma qui va, intanto, suggerito un criterio: non è materia da trattare con ideologie astratte, ma problema gestibile solo con soluzioni pragmatiche. 

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