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Carlo A. Pelanda
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L'%20Arena

2004-1-5

5/1/2004

La priorità della riparazione

Il problema non è l’errore, ma la velocità e qualità risolutiva con cui lo si corregge. Tale frase guida la gestione dei sistemi solidi ed efficienti. Che in base al realismo pragmatico non sono disegnati per evitare in modo assoluto errori, scandali o altri punti di blocco. Sarebbe impossibile, tecnicamente, ottenere tale risultato di perfezione. Ma, proprio per questo, sono organizzati per reagire velocemente e bene ai problemi quando si avverano. In base a tale criterio il sistema italiano non va valutato negativamente perché in esso si sono sviluppati per carenza di controllo casi destabilizzanti quali quello Cirio e Parmalat. Può capitare anche nelle migliori nazioni come è successo.  Il giudizio, invece, deve basarsi sull’analisi di come stiano rispondendo le istituzioni per ripristinare la fiducia dei risparmiatori e degli investitori affinché vi sia la garanzia che nel futuro la probabilità di altri casi del genere resterà un minimo. Questo, per inciso, non è un criterio astratto, ma l’esatto metro con cui la comunità finanziaria internazionale sta prendendo le misure dell’Italia per capire se potrà considerarla un sistema ordinato o disordinato. Nel secondo caso vi sarebbe un danno gravissimo per la ricchezza nazionale in forma di meno investimenti sulle nostre azioni, titoli ed imprese.

Purtroppo i primi segnali non sono buoni. Nei giorni scorsi le istituzioni hanno privilegiato il gioco dello scaricabarile invece di coordinarsi per prendere misure di controllo e riparazione dell’intero sistema. La Banca d’Italia ha dichiarato di aver fatto tutto quanto era di sua competenza. Così la Consob (autorità di controllo della Borsa). Così il governo. In sintesi, la priorità è stata quella di non farsi imputare alcuna responsabilità. Il che è sorprendente ed inutile. Sorprendente perché tutte le istituzioni citate hanno una parte di responsabilità oggettiva in quanto il sistema dei controlli non ha funzionato. Inutile perché nessuna persona di buon senso imputerebbe ai gestori attuali delle istituzioni dette una responsabilità diretta per gli imbrogli fatti dalla Parmalat. Appunto, può succedere e non è questo il problema. Lo è il come e quanto presto si ripara la crisi di fiducia. Di fatto nessuno la sta ancora riparando preferendo scaricare la responsabilità piuttosto che prendersela.

Lasciatemi dare un immagine, invece, di quale sarebbe stato il comportamento ottimale. Le istituzioni dette avrebbero dovuto subito prendere atto che gli scandali recenti erano un sintomo di grave malfunzionamento del sistema . Ed avrebbero dovuto annunciare le misure di riparazione. Per esempio, un controllo immediato di tutto il resto delle imprese quotate o comunque emettitrici di titoli (corporate bond) per essere sicuri che non ci sia una terza Cirio o Parmalat in arrivo. Poi, la determinazione di una data ravvicinata per rifare quelle regole del sistema che hanno dimostrato di essere inadeguate. Terzo, ma non di minore importanza, punizioni esemplari per i violatori delle regole inasprendo le leggi in materia. In sintesi: controllo di tenuta, riparazione e rafforzamento della disciplina via dissuasione più pressante. Il bravo capitano di una nave con una falla causata da un errore di manovra avrebbe agito così. Ed infatti negli Usa, dopo l’incredibile sequenza di scandali finanziari nel 2002, si è agito in un modo simile ottenendo una buon recupero della fiducia degli investitori. Purtroppo in Italia le istituzioni non stanno agendo secondo questo principio di buona navigazione.

Lo faranno? E’ difficile prevederlo. Al momento sembra in vigore l’idea che gli scandali siano stati creati da cattivi particolarmente abili entro un sistema di regole e controlli che comunque funziona. Si puniscano i colpevoli e la cosa finisca lì. Speriamo che tale idea non si affermi. In realtà i cattivi non sono stati “particolarmente abili”, anzi, ma hanno usato dei buchi nel sistema per attuare le loro acrobazie contabili. E proprio la carenza di controlli ha reso facilissimo il crimine, quasi incentivandolo. Nel caso dello scandalo Enron i criminali hanno inventato architetture sofisticatissime da fantafinanza per aggirare le regole. In quello Parmalat è bastato fare qualche firma falsa. Non c’è nemmeno la pur ambigua nobiltà del crimine con alto valore intellettuale. Chi ha violato le leggi in Italia confidava su una totale assenza di controllo e sulla buona probabilità di trovare estese complicità. Questo è il problema svelato dallo scandalo e speriamo, per l’interesse di tutti noi, che le istituzioni ne colgano l’aspetto sistemico e agiscano di conseguenza.

(c) 2004 Carlo Pelanda
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