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Carlo A. Pelanda
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2003-1-20

20/1/2003

Scintille di speranza dal Sudamerica

Su queste pagine si era preso l’impegno di aggiornare periodicamente i tanti lettori rimasti intrappolati nei titoli del debito argentino il cui rimborso è stato sospeso da Buenos Aires a seguito di una devastante crisi interna. La scorsa settimana vi è stata una sequenza di eventi che permette di inquadrare un po’ meglio il possibile scenario futuro. L’intento di tale aggiornamento non riguarda l’informazione tecnica di dettaglio, che ogni interessato deve controllare con la propria banca o gestore, ma le prospettive di fondo. E si collega alle tante richieste di veneti e lombardi con parenti od interessi nel Sudamerica di analizzare un po’ di più, e più frequentemente, i destini di tale continente così pieno di promesse ed allo stesso tempo di guai.

Venezuela a parte, ci sono buone notizie. Il Fondo monetario internazionale ha prestato circa sei miliardi di dollari all’Argentina. In realtà questi denaro servono alla seconda per ripagare i precedenti finanziamenti che il Fondo stesso, in qualità di creditore privilegiato, aveva erogato nel passato. Quindi non saranno utilizzati per il rimborso parziale dei circa 14 miliardi di euro di risparmi di cittadini italiani trasformati in obbligazioni argentine, ma il segnale è comunque buono in relazione alla confusione totale che esisteva fino a qualche settimana fa. Indica, infatti, che Fondo e governo argentino ricominciano a dialogare su questioni tenciche, trovando soluzioni positive. E ciò sposta l’ago dello scenario dalla catastrofe senza fondo verso la ristabilizzazione, pur lentissima. Un altro segnale importantissimo in tale direzione è stato dato dalla formazione di una sorta di consorzio di amici dell’Argentina il cui capofila è il Brasile. Ciò lascia intendere un aumento della cooperazione continentale sulla base della consapevolezza che la crisi irrisolta di un grande Paese dell’area fa male a tutti. Intendiamoci, nessuno di questi, ed altri, segnali indica che siamo vicini ad una soluzione. Ma è importante sottolineare che sono sintomo di una svolta: c’è finalmente la volontà politica di arginare i problemi e poi, pian pianino, ricostruire. Forse tale linguaggio vi sembrerà troppo generico e nasometrico. Tuttavia lo ritengo utile in base ad una considerazione pratica. La probabilità di rimborso dei vostri denari prestati all’Argentina dipende certamente dalla forza con cui l’associazione di banche formatasi negozierà gli interessi dei cittadini italiani e da quanto il nostro governo li sosterrà, ma anche, e soprattutto, dalla capacità reale di Buenos Aires di poter ripagare il debito estero. E questa necessariamente sarà figlia di una ristabilizzazione che quella nazione non ha più la forza interna per attuare da sola. Quindi il vedere un primo segnale concreto di sostegno di area lascia ben sperare e va comunicato ottimisticamente. Sperare cosa, in termini di "schei"? Niente di immediato, ma almeno di non perdere il capitale pur allungate le scadenze di rimborso e ridotti gli interessi iniziali. Non sarebbe male, comunque l’inflazione di tanti anni sarebbe recuperata. Non si può dire che siamo ancora su questo binario, ma almeno il treno si è mosso da una stazione in cui era rimasto fermo fino a poco fa.

Più in generale, un motivo di ottimismo è dato dai molti segnali che indicano nel Brasile di Lula un fattore di stabilizzazione più che di disordine, come temuto da molti analisti in relazione al programma di "sinistra sudamericana" (populismo, inflazione, ecc.) con il quale ha stravinto le ultime elezioni. Si nota, in particolare, una forte reciproca comprensione tra l’Amministrazione Bush e Brasilia per le materie utili alla stabilizzazione continentale. Non è ancora possibile dare probabilità alla formazione di un mercato integrato americano che funzioni (Mercosur, estensione del Nafta – Canada, Usa e Messico – al Cile e poi ad Argentina, Brasile e altri, ecc.), ma la lancetta delle previsioni si sta spostando verso la conferma di queste possibilità mentre qualche mese fa era l’opposto. Anzi, lo scorso ottobre a Washington, in occasione del convegno annuale dell’Istituto di economia internazionale, gli scenari più accreditati davano per quasi certa la crisi totale del Brasile ed il disordine definitivo nel continente sudamericano. Con riverberi verso l’ancora instabile Messico e, quindi, sugli Usa stessi. Ma tali scenari sostenevano anche che tale caso peggiore si sarebbe verificato se nessuno avesse gestito la brutta tendenza. Evidentemente qualcuno lo sta facendo e comincia a vedersi un po’ più d’ordine. Indizio che gli Usa hanno abbandonato la strana politica sostenuta dal da poco rimosso ministro dell’economia O’Neil: non intervenire, impedire al Fmi di salvare l’insalvabile, far prendere responsabilità ai Paesi disordinati lasciandoli andare a fondo. Una politica più saggia è, finalmente, al lavoro.

E ciò riduce la pericolosità del pur preoccupante caso venezuelano. Il braccio di ferro tra il presidente rivoluzionario-autoritario Chavez e l’opposizione che vuole un referendum per rimuoverlo non promette niente di buono e aumenta il rischio di una brutta destabilizzazione. Ma si prevede che l’eventuale crisi non produca un contagio nell’area. E si spera, in base ai segnali detti sopra, che ci sarà una pressione esterna per favorire una soluzione moderata. Ci sono motivi per un po’ più di ottimismo.

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