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Carlo A. Pelanda
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2002-12-2

2/12/2002

Il ciclo economico migliora

E’ un buon momento per valutare gli andamenti del ciclo economico generale, con riferimento particolare agli Stati Uniti ed all’eurozona. Tale livello molto generale dell’analisi non deve essere percepito dai lettori come troppo distante dai loro interessi quotidiani. La gente si chiede, da almeno un biennio, quando il pessimismo finirà e vi saranno i segnali concreti di ripresa in Europa e in Italia. Ci sono buone notizie pur ancora solo all’orizzonte. 

Nel terzo trimestre la crescita del Pil americano è stata del 4%. Fatto importante per l’analisi indiziaria delle tendenze, il dato preliminare (poco più del 3%) è stato  recentemente rivisto al rialzo mentre sono quasi due anni che il perfezionamento dell’analisi statistica degli indicatori di ciclo ha quasi sempre provocato revisioni al ribasso. Nella componente “nasometrica” della scienza macroeconomica ciò è di buon auspicio: annuncia inversioni di tendenza. Tale “sentimento” è stato anche percepito dal mercato finanziario. Dai primi di ottobre a venerdì scorso le Borse sono mediamente risalite: del 17% New York (indice Dow Jones) e Milano, un po’ più Francoforte (24%) perché era scesa molto nei mesi precedenti, un po’ meno Londra (10%) in quanto aveva tenuto meglio nella prima parte dell’anno. Il Nasdaq, da intendersi come mercato che segnala gli andamenti dei titoli più legati alle nuove tecnologie, è rimbalzato di ben il 21%.  Certo, dai picchi raggiunti al massimo della bolla finanziaria della fine 1999 – inizio 2000, il complesso borsistico è sotto del 45% circa. Ma ciò non deve ombreggiare un sostanzioso recupero dei valori azionari, segno, appunto, dell’inversione. Segnale vero?

 A fine anno i fondi di investimento hanno tipicamente la voglia di tentare dei “rally” per alzare il più possibile i valori dei portafogli azionari e così fare miglior figura con i clienti che affidano loro i risparmi. E ciò potrebbe aver contribuito ad amplificare artificialmente l’idea che lo sgonfiamento del dopobolla sia finito e che l’economia reale si sia stabilizzata. Ma anche considerando tale fenomeno si osserva che un rimbalzo, in effetti, c’è. E sul piano dell’economia reale? La crescita a “boom” degli Usa nel terzo trimestre è stata causata principalmente  dalla ricostruzione delle scorte da parte delle aziende. Molti analisti avvertono che ciò non può ancora considerarsi un rimbalzo solido. Vero, ma se un’azienda ricostruisce il magazzino vuol dire che prevede più vendite nel futuro. Cosa che va a favore della sensazione di inversione della (macro)tendenza.  

Le previsioni del 4° trimestre per il Pil americano sono di minor crescita in relazione al terzo. Motivo per cui l’autorità monetaria statunitense (Fed) ha ridotto i tassi, qualche settimana fa, quasi ad un minimo insuperabile. Ma difficilmente si andrà ad una contrazione pesante e quindi la tendenza al rialzo, sia finanziario sia reale, dovrebbe consolidarsi all’inizio del 2003. Per poi trasformarsi in nuovo ciclo di crescita prolungata e stabile. In tale ipotesi l’effetto di traino della locomotiva americana dovrebbe sentirsi in Europa entro i tipici 4-6 mesi di ritardo. Calendario che fa prevedere a metà dell’anno prossimo un sostanzioso aumento dei volumi economici e profitti da noi. Con conseguente miglioramento dei conti pubblici degli Stati europei ora sotto tensione perché in questi giorni si sta “scaricando” il picco recessivo, pur non recessione reale perché i Pil restano, anche se a pelo (0,4 - 0,6 annualizzato per l’Italia), positivi. In sintesi, la prossima estate dovremmo andare in vacanza con maggiore serenità. E ciò spero attutisca i timori che inevitabilmente peseranno sulle feste invernali. Scenario ottimistico piuttosto in linea con quello anticipato ai primi dell’anno in corso su queste pagine: un 2002 di convalescenza, il 2003 di buona ripresa. Lo ritengo ancora valido, solo con sei mesi di ritardo per l’inversione della tendenza discendente.

A cosa è dovuto tale ritardo nello scenario? Ad una situazione economica in Germania peggiore di qualsiasi previsione pur negativa. Se l’economia tedesca non tira  butta giù tutti gli affari degli altri europei, in particolare i nostri. Infatti buona parte del Pil italiano è fatto da scambi con la Germania e lo stato disastroso di questa ci è costato quasi due punti di crescita nel 2002 ed altrettanto, proporzionalmente, di introiti fiscali. Pertanto le economie dell’eurozona entreranno “lente” nel 2003 e agganceranno la ripresa americana appesantite dal freno tedesco. Ma quanto tirerà la locomotiva americana? Ancora non lo si riesce a prevedere in quanto il ciclo dei nuovi investimenti (il fattore principale per aumentare l’occupazione e gli indici di Borsa) non è ancora ripartito bene. Cosa che porta l’attenzione a quanto l’eurozona potrà rimbalzare per forza motrice propria. Pochino. Per questo anche un piccolo stimolo sarebbe utile e ciò porta l’attenzione ad una riduzione del costo del denaro da parte della Banca centrale europea, previsto per la settimana entrante. Speriamo che lo faccia sapendo che lo può solo a due condizioni: che il Patto di stabilità non venga violato e che l’euroinflazione rientri. Il secondo dato sembra positivo dopo lo scandaloso andamento di inizio anno. Se lo sarà anche il primo, allora anche da noi l’ottimismo diventerà più solido.

(c) 2002 Carlo Pelanda
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