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Carlo A. Pelanda
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2002-4-22

22/4/2002

Effetto 2003

Nell’insieme di previsioni economiche rilasciate in questi giorni c’è un fatto interessante: divergono parecchio a livello di stime sulla crescita del Pil per l’anno in corso, ma tutte concordano sull’idea che nel 2003 sarà boom in America (quasi 4%), eurozona (3%) e nell’intero mercato globale, perfino nello sfiancato Giappone (0,8)  In una situazione del genere chi fa scenari si aspetta più sorprese positive che negative proprio per l’effetto traino dell’ottimismo di medio periodo sui fenomeni economici di breve. Tuttavia il quadro mondiale del presente – analizzato nel vertice dei ministri economici del G7 sabato scorso a Washington -  è oscurato da rischi bellici (medio-oriente e dintorni rilevanti per il prezzo del petrolio e relativo possibile impatto killer sulla crescita mondiale), di instabilità finanziarie (Argentina, veramente preoccupante) e politiche (Venezuela, in bilico). Cerchiamo di capire.

Prima di tutto il pubblico italiano è certamente curioso di comprendere perché il governo abbia previsto una crescita del 2,3% del Pil per il 2002 mentre il Fondo monetario internazionale e la Commissione europea la stimino non superiore all’1,4 – 1,5%, “ambetre”, tuttavia, concordi per un 2003 verso ed oltre il 3%. Sul piano formale tale differenza è di facile spiegazione. La previsione governativa è stata espressa nell’ambito dei lavori preparatori per il varo del Dpef – Documento di programmazione economica e finanziaria – e riguarda la definizione di un “obiettivo” combinata con un’analisi di ragionevole fattibilità che tiene conto di nuovi effetti stimolativi. Il metodo previsionale delle due altre istituzioni, invece, si basa sulla proiezione dei dati del presente, rebus sic stantibus (a cose ferme così come sono). Poiché le previsioni sono tipicamente sottoposte a revisione periodica, è interessante capire quale sarà rivista al ribasso o al rialzo. Il governatore Fazio si è già pronunciato: verso la fine dell’anno l’Italia crescerà ad un ritmo del 3%. Cioè entrerà “in accelerazione” economica nel 2003. Cosa che favorirebbe la previsione governativa. Sostenuta, comunque, dall’idea che le misure stimolative finora attuate, cominceranno a dare conseguenze verso l’estate. Appunto, il governo pensa che la combinazione tra politiche interne di riforma e ripresa del ciclo mondiale ci porterà più in alto e più presto di quanto mostri la fotografia del presente. Per noi questo punto è importantissimo perché definisce il momento temporale in cui Tremonti potrà avviare la riduzione delle tasse. Tale misura – strutturale – può essere presa solo se davanti c’è un certo tempo di buona crescita (motivo per cui è stata posposta di un anno). Ciò rende possibile mantenere o perfino aumentare il gettito fiscale corrente pur abbassando le tasse grazie all’effetto crescita che aumenta i guadagni di tutti. Il film mostra che il 2003 sarà l’anno in cui ciò si potrà avviare con successo nonostante qualche ineliminabile rischio. Ma è anche rilevante notare che per fare queste mosse bisogna affidarsi alle previsioni, appunto, allo scopo di predisporne i programmi tecnici (per esempio, la legge finanziaria 2003 che verrà presentata a fine 2002). Ecco perché i numeri del futuro, pur di fatto “profezie”, sono così importanti e diventano un valore politico concreto nonché un tema di interesse prioritario per il pubblico. In sintesi, possiamo credere a questo buon scenario?

Direi di sì. Verso la fine dell’anno dovrebbe migliorare l’economia stagnante di Francia e Germania dalle quali dipende molto dell’andamento della nostra. Che potrebbe goderne parecchio – se non si incattivisce la stagione degli scioperi “politici” - proprio perché inizialmente alleggerita dai pesi che finora l’hanno frenata. Nel secondo paese, poi, l’eventuale vittoria elettorale (in autunno) dei centristi riformatori di Stoiber contro i socialdemocratici immobilisti  potrebbe ridare una forza psicologica alla locomotiva tedesca in panne, cioè un effetto ottimismo futuro che agirebbe subito nell’immediato. Più investimenti lì, più lavoro per le nostre aziende esportatrici.  Tuttavia, anche se lo scenario proiettivo del sistema economico occidentale complessivo è veramente buono, non possiamo nasconderci che potrebbero arrivare alcuni shock esterni ferali. Una crisi finanziaria in America latina avrebbe riverberi globali contenibili, ma capaci di annullare l’effetto fiducia “2003” che accelera l’economia globale del 2002. Gli altri rischi, troppo noti per citarli nuovamente,  convergono sulla possibilità che l’aumento dei prezzi del petrolio inneschi una spirale inflazionistica. Anche questa è controllabile, ma avrebbe l’effetto di deprimere le speranze di boom nel 2003. E di innescare una crisi borsistica (per il rialzo dei tassi monetari) in una fase dove comunque i valori azionari sono sotto tensione perché i profitti del 2002 non potranno essere quelli che il mercato spera. Possiamo definire una formula finale dello scenario dove prevale l’una o l’altra probabilità? Onestamente, non c’è un dato reale che ancora possa far rispondere. Posso solo offrire il fiuto del ricercatore che di mestiere fa scenari: c’è odore di bel tempo più che di tempesta.

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