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Carlo A. Pelanda
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2002-4-29

29/4/2002

Nel mezzo del cammino dell’economia globale verso la piena ripresa c’è una macchia scura inquietante: la crisi argentina. Analizziamola, ma con il criterio di cercare di chiarire lo scenario per gli interessi dei tanti lettori che possiedono titoli di quel paese e che non sanno se e quando verranno rimborsati. Trovo scandaloso - scusatemi se sarà un articolo da bombardamento, ma la questione lo merita - che vi sia tanta incertezza su una questione così importante. Riguarda probabilmente quasi 40mila miliardi di vecchie lire (circa 20 miliardi di euro) di debito argentino – Stato ed istituzioni locali - posseduto da italiani.  Tra l’altro alcuni esperti hanno la sensazione che proprio nelle aree tipiche di diffusione di queste pagine (Brescia, Verona, Vicenza) vi sia una particolare concentrazione di risparmiatori con portafogli piuttosto carichi di tali valori ora quasi azzerati dopo la dichiarazione di insolvenza da parte di Buenos Aires. A questi va detto – e qualcuno aiuti i più anziani eventualmente a saperlo - che hanno un diritto di  tutela nel caso si possa provare un raggiro o un difetto di informazione appropriata in chi glieli ha venduti, in particolare dopo il 1999. Tuttavia il grosso della questione riguarda lo scenario di fondo: a quali condizioni si possono sperare di recuperare in tutto o in parte i soldi?

Il punto critico è ovvio: se l’Argentina riemergerà dal disastro prima o poi si rimetterà a pagare gli interessi sui titoli di debito emessi e a ripagarlo, magari con allungamenti delle scadenze, perché sarebbero requisiti della normalizzazione. Purtroppo i fatti correnti non promettono bene. Le cronache di dettaglio sulla situazione argentina le conoscete, è superfluo qui ripeterle, mentre è utile estrarne il dato di sintesi: è evidente che l’Argentina non abbia forza propria per uscire dal disordine. Quindi il toro va preso per le corna: lo scenario sarà determinato più dai comportamenti d’aiuto ed ordinativi esterni che da quelli interni. Sui secondi possiamo intervenire poco, ma sui primi molto di più. Perché l’Italia è membro del G8 e soggetto primario nel Fondo monetario internazionale (Fmi). Non è ancora una critica, ma lo diventerebbe, e pesante, se il nostro paese non diventasse protagonista di un progetto della comunità internazionale per il salvataggio dell’Argentina. E sarebbe pesantissimo se il governo non mettesse in priorità la tutela dei suoi tanti cittadini creditori. Lo può fare, a breve? Certo. Tra qualche settimana l’Argentina dovrebbe ripagare al Fondo monetario una parte dei soldi prestati in precedenza. Per renderlo possibile il Fondo stesso presterà nuovi denari per poi riprenderseli. C’è una questione tecnica che giustifica questo giro, ma il punto da stabilire è morale: non può esistere un creditore privilegiato, il Fondo, ed altri, i possessori di titoli, che lo sono meno. Ci aspettiamo che il governo influenzi il Fondo affinché diventi garante non solo dei bilanci propri, ma anche di quelli dei risparmiatori. Così una parte, almeno, degli interessi di cui è stato sospeso il pagamento potrebbe rifluire presto nelle tasche dei risparmiatori.    

Ma la politica del Fmi e dei paesi del G8 diventerà perfino più importante per la terapia d’urgenza di sostegno esterno all’Argentina. Al momento non sono state montate le risorse adeguate, anche perché non c’è un’idea chiara su quale medicina adottare. Che gli argentini in piena crisi sociale, istituzionale e bancaria siano confusi posso capirlo. Ma è inaccettabile che la comunità internazionale resti così passiva. Il Messico, nel 1995, si trovò in condizioni peggiori e fu salvato sia dal Fmi sia, soprattutto, da un marea di dollari prestati direttamente dagli Usa. Lo stesso successe per la Corea del Sud, meno per l’Indonesia, nella crisi asiatica del 1997-98. Ciò fa venire la sensazione che vi siano due pesi e misure: se una nazione è rilevante per i potenti, allora la si rianima, se lo è di meno si arrangi. Non posso pensare che sia vero perché è noto che le infezioni nel mercato globale si diffondono istantaneamente, qualunque sia la fonte, e conviene sanarle tutte. Ma ci potrebbe essere un problema di priorità che differenzia un paese in bisogno dall’altro. Qui andrebbe inserita l’azione del nostro governo (e di quello spagnolo anche molto coinvolto) per dare il giusto peso alla soluzione del caso argentino.

Che non è facile, ma nemmeno impossibile. Il problema principale è quello di ricostruire la fiducia locale nella moneta e su un futuro migliore. Francamente, per farlo in un paese di non più di 30 milioni di persone - piuttosto depresse, ma nazione notevolmente moderna - basterebbe mettere a garanzia poche decine di  miliardi di euro, da usare in parte per ricapitalizzare progressivamente  il sistema. Non è cifra fuori portata per la comunità ed istituzioni internazionali. Certo, bisognerebbe anche trovare la formula monetaria adeguata e sia il Fondo sia il governo argentino sono lontani dal trovarla. Ma il punto è che se fosse maggiore e più pressante l’impegno internazionale, allora quelli la troverebbero più in fretta e migliore. La questione, in estrema sintesi, sta qui e l’Italia può certamente fare di più per risolverla.  

(c) 2002 Carlo Pelanda
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