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Carlo A. Pelanda
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2017-7-18

18/7/2017

Governo illusionista per difendere un modello indifendibile

Ho dubbi sulla correttezza tecnica delle proiezioni di crescita, ma qui ritengo più importante segnalare l’intento del governo di oscurare con manipolazioni comunicative la necessità di cambiamenti sostanziali del modello.       

L’ultima revisione al rialzo della stima di crescita del Pil 2017, ora verso l’1,4% secondo le previsioni di Banca d’Italia, in relazione a quelle prodotte dal Fmi e dall’Istat circa un mese fa, attorno all’1,3%, comparate con le previsioni di inizio anno degli stessi istituti e di altri di una crescita 2017 non superiore allo 0,8%, resta comunque molto al di sotto della media di crescita europea, ora verso il 2,1%. Pertanto il dato, pur migliorativo, conferma la necessità di rimedi incisivi e non che le cose vadano bene come cantato dal governo. Inoltre, la ripresa italiana è molto più trainata da quella della domanda globale che non dagli investimenti e consumi interni, pur questi in leggero incremento. Poiché il contributo dell’export al Pil è attorno al 30% - mentre, per comparazione, in Germania è oltre il 50% - è evidente che la priorità è stimolare il mercato interno perché questo determina la parte maggiore della crescita. Il governo sta muovendo qualcosa in tal senso, ma con misure troppo piccole per produrre effetti sistemici. La critica: è illusorio far pensare che senza modificare sostanzialmente il modello fiscale, tagliare la spesa e fare operazioni patrimonio contro debito per ridurne il peso inabilitante, l’Italia potrà andare avanti in continuità, risolvendo man mano i suoi molti problemi.

La realtà: servirebbero, invece, almeno un paio d’anni con crescita oltre il 3% e poi un periodo prolungato oltre il 2% per iniziare a riassorbire la disoccupazione che, infatti, con la poca crescita corrente resta elevata. Ma per ottenere tale risultato bisognerebbe tagliare spesa e tasse. E allocare la spesa che resta più per investimenti che per finanziare apparati. E per attutire l’impatto deflazionistico di un taglio sostanziale di spesa pubblica, prima che l’effetto stimolativo della detassazione reflazioni per via di mercato il sistema, bisognerebbe ridurre una parte del debito, e della spesa per interessi, con un’operazione straordinaria. Non basterebbe. Per incrementare i consumi, i salari dovrebbero aumentare, ma ciò può succedere nel settore privato solo se le aziende possono collegare l’aumento del costo del lavoro ai risultati attraverso contratti specifici che determinino un salario aggiuntivo premiale, variabile, in correlazione con l’aumento di produttività. Poi, per intervenire sui quasi 10 milioni tra poveri assoluti, relativi e a rischio di diventarlo, tra cui più di 1 milione di giovani che non accedono alla formazione per miseria, bisognerebbe cambiare tutto il modello di welfare, dedicando più risorse a chi ne ha bisogno, riducendole per le spese inutili, almeno 30 miliardi per iniziare. Così come il regime fiscale dovrebbe essere calibrato per favorire l’espansione del mercato. In sintesi, ci vorrebbe un nuovo modello di welfare che minimizzi le tasse, ma che usi quelle che incassa sia per sostenere i deboli con missione di trasformarli in forti, e in consumatori, sia per fare quel tipo di investimenti modernizzanti – formazione, infrastrutture, ecc. – che il mercato non può fare. Io lo chiamo “welfare di investimento”, dove tra Stato e mercato c’è una relazione complementare e non di conflitto, in sostituzione del “welfare redistributivo”, ormai degenerato come abnorme burocrazia predatoria. Perché tutte le soluzioni dette sopra non vengono nemmeno accennate né si sentono appelli per la trasformazione del welfare come detto? Perché l’Italia è prigioniera di una massa che vive privilegiata nel sistema protetto degli apparati pubblici, trovando una sinistra e sindacati che ne tutela gli interessi in cambio del voto. Questi hanno la forza per mantenere le tasse elevate e allocare le risorse fiscali per finanziare gli apparati a danno di poveri, disoccupati, pensionati e ceti produttivi. Per tale motivo l’Italia cresce poco e il governo sostenuto da una maggioranza di sinistra e con la missione di preservarla non osa programmare tagli di spesa e cambiamenti di modello e cerca di manipolare la realtà. Tale verità deprimente, però, contiene una buona notizia: indica che il malessere italiano ha una causa politica, modificabile, e non una tecnica su cui è più difficile intervenire. Chi vuole cambiare in direzione del nuovo “welfare di investimento”, anche attraverso la bonifica della burocrazia predatoria, e penso ad una destra liberale, razionale e socialmente consapevole, può riuscirci.

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