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Carlo A. Pelanda
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2002-2-18

18/2/2002

La lezione degli scandali finanziari

Quanta fiducia possiamo avere sulla trasparenza del mercato finanziario e sulla onestà e capacità dei suoi operatori a cui affidiamo i nostri risparmi? La questione è stata aperta dal crack della Enron, settima società per capitalizzazione nella Borsa statunitense. Ormai è da tempo nelle cronache, ma invece di affievolirsi si sta espandendo perché quello che sta venendo fuori, oltre che generare un effetto catena, getta un’ombra sul funzionamento generale del mercato, non solo in America. Molti lettori si chiedono fin dove arriva il marcio. Cerchiamo di capirlo.

La prima area critica è quella della trasparenza dei bilanci delle aziende quotate, unica garanzia leggibile per l’investitore. Da anni la Sec, l’autorità di controllo della Borsa americana, aveva cercato  di costringere le società di certificazione dei bilanci a separare l’attività di consulenza da quella di certificazione stessa. Il motivo è ovvio. L’azienda promette un ricco contratto consulenziale in cambio di un occhio chiuso su un bilancio gonfiato, cioè che nasconde i debiti o altro, dando al risparmiatore una falsa informazione sulla solidità dell’impresa. Purtroppo tale azione di trasparenza non è riuscita in pieno e molti bilanci sono stati falsificati con la complicità del certificatore, Andersen nel caso della Enron, ma tutta la categoria è sotto esame. Questo livello del marcio è il più pericoloso sul piano sistemico. Ma proprio per questo, in America, stanno correndo velocemente ai ripari: controlli maggiori e sanzioni pesanti per i certificatori disonesti. L’analisi sarebbe lunga e densa di dettagli tecnici, ma qui è importante rilevare che la lezione è stata appresa molto velocemente e possiamo essere fiduciosi che nel futuro le rappresentazioni dei conti aziendali saranno generalmente più corrette. In Europa non sono successi scandali pesanti di questo tipo, ma il problema della certificazione è simile. Sarebbe auspicabile una maggiore rassicurazione anche da noi.

Su un problema collegato sono un po’ meno ottimista. Riguarda la complessità delle operazioni finanziarie e la loro comprensibilità per un risparmiatore o, perfino, per un controllore. In molti casi non serve nasconderle perché tanto nessuno le capisce, a parte chi le fa. Così può succedere che un debito possa essere trasformato in un attivo, formalmente corretto, ma sostanzialmente falso. Anche questa è materia molto tecnica, ma sarebbe molto semplice ridurre il rischio accennato: cambiare le regole di rappresentazione dei bilanci e delle operazioni finanziarie allo scopo di renderle più leggibili. Il problema è simile in America ed Europa, ancora irrisolto.  

In ogni caso bisogna considerare che i controlli e le regole non potranno mai essere tanto perfetti da garantire la bontà dell’investimento. Per esempio, ho visto con i miei occhi, nel recente passato, un operatore offrire ad un cliente un “covered warrant” a prezzo molto basso e sostenere che ciò fosse una buona occasione. Salvai l’acquirente svelando che, in realtà, nel più dei casi un basso costo di tali prodotti di finanza derivata semplicemente indica che il valore delle azioni sottostanti è ormai caduto senza speranza di recupero. Quindi avrebbe comprato un bidone. Tale esempio mostra che si può trovare qualche imbroglione tra gli operatori. Rischio, per altro, da non esagerare perché la maggior parte di questi ha rapporti continui con un cliente e non ha interesse a perderlo. Ma la vera difesa del risparmiatore deve essere necessariamente la sua capacità di capire il prodotto che sta valutando. Per esempio, molti si lamentano di essere stati imbrogliati quando è stato offerto loro un pacchetto di titoli argentini, ad alto rischio e ora a valore quasi zero (da tenersi e non svendere, comunque, perché nel futuro il debito potrebbe essere ripagato almeno in parte). Quelli che hanno visto il prospetto non possono sostenerlo perché stava scritto che era , appunto, ad alto rischio. E il risparmiatore deve capire che tutto ciò che rende oltre il normale sconta evidentemente un pericolo che può avverarsi. In generale, più il rischio di un prodotto è alto meno bisogna affidarsi al fai da te. Meglio ricorrere ad un gestore professionale perché il suo mestiere principale è quello di saper governare il rischio stesso attraverso una gestione attiva. Infatti i portafogli dei fondi con titoli argentini ne hanno per lo più assorbito bene la caduta.

In conclusione, ci sarà sempre qualcuno che tenterà di imbrogliare, ma anche un sistema di regolatori che cercherà di impedirlo perché la fiducia nel mercato è il motore insostituibile della circolazione della ricchezza. Per questo ritengo che il sistema scosso dagli scandali verrà presto riparato. Ma la  guerra tra poliziotti e ladri sarà senza fine e la miglior tutela del risparmiatore la può fare solo il risparmiatore stesso: non comprando prodotti prima di averne capito fino al millesimo la natura; non cedendo alle lusinghe dei guadagni facili promessi da avventure speculative esagerate. E, alla fine, rivolgendosi in caso di dubbio alla “banca amica”. Ci lamentiamo spesso dell’esosità o di altri difetti delle banche tradizionali, ma alla fine il loro sportello sotto casa è il rifugio più sicuro e amichevole.

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