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Carlo A. Pelanda
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2002-1-14

14/1/2002

Un’Europa che deve decidere tra mito e realtà

Diciamocela tutta. L’Unione Europea è sospesa tra mito e realtà. Se prevarrà la seconda il nostro continente diventerà il luogo politico ed economico più solido del pianeta. Potrà dialogare alla pari con la cugina America, far convergere meglio gli interessi e unirli in un unico formidabile pilastro occidentale dell’ordine mondiale che sarà anche supermotore del mercato globale. Se vincerà l’irrealismo resteremo come adesso: un vagone economico piuttosto scassato, dipendenti dall’America sia per la sicurezza sia per la crescita, nonché per la modernità tecnologica. Acidi e senili per questa posizione di secondarietà. Cerchiamo di individuare i miti retrogradi e le realtà futurizzanti.

Il mito più pericoloso è che lo statalismo possa convivere con un’economia che crei sempre più ricchezza e la diffonda a sempre più persone. Lo si trova incarnato: (a) nel modello francese di socialnazionalismo economico – che, dal 1963, non varia molto se vince la destra gaullista o la sinistra; (b) in quello tedesco, generato nell’ambito della Grande coalizione degli anni ’60, di economia sociale di mercato o “renano”, questo può variare a seconda che vinca la sinistra o il centrodestra; (c) lo statalismo assistenziale italiano (dal 1964) sovrapposto al, ed integrato con, il “corporativismo protezionista” costruito in epoca fascista e mai modificato. Questo modello è riformabile, come è in atto, ma molto lentamente a causa delle troppe incrostazioni storiche. I tre Paesi citati sono il cuore economico dell’eurozona perché, insieme, ne fanno circa il 70% del Pil. Dagli anni ’60 in poi hanno tutti e tre scelto di darsi, appunto, un modello che mescolava elementi di socialismo e di libero mercato. Ma la compressione del secondo è stata eccessiva ed ha portato ad un’economia lenta, che cresce poco, senza tecnologia e con molti disoccupati perché l’eccesso di garanzie riduce le opportunità di lavoro deprimendo i nuovi investimenti. Quando agli inizi degli anni ’90 è scoppiata la globalizzazione, cioè un’economia che fa vincere i concorrenti più flessibili ed efficienti, l’economia continentale è andata in crisi competitiva: un crescita che era metà di quella americana con una disoccupazione più che doppia. La realtà è che se il cuore dell’Europa non cambia il modello politico e lo rende più favorevole all’efficienza economica, allora l’Unione Europea diventerà sempre più povera e stagnante. Ciò ne indebolirà sia l’interno sia il potenziale esterno. E’ mito pensare che senza un tale cambiamento l’Unione Europea possa diventare qualcosa di solido.

E’ mito pensare che la sola moneta unica possa creare dalla superficie l’efficienza economica che non c’è nel substrato. Una moneta è conseguenza e non causa. Irrealisti coloro che sostengono il contrario. Realisti, invece, quelli che invocano la grande liberalizzazione del continente per esaltare l’effetto della moneta unica come creatrice di un mercato veramente integrato. Che così diventerebbe il più vitale sistema economico regionale del pianeta.

Il terzo mito più pericoloso è quello di voler costruire una supernazione europea basata sul dirigismo economico continentale. Tale idea ha due origini. Nel 1963 De Gaulle capì che la speranza francese di opporsi al dominio globale americano ( la “Grandeur”) era senza gambe concrete. Per dargliele offrì alla Germania il seguente patto: mettiamoci insieme e comandiamo sugli altri europei organizzandoli in una supernazione continentale che dia a Parigi e a Bonn (ora Berlino) un ruolo di potenza mondiale che altrimenti non potremmo avere come singole nazioni frammentate. La diarchia si formò e ciò distorse sostanzialmente l’ottimo concetto di “Europa dei pari” che era stato stabilito nel Trattato di Roma (1957), custode del sincero europeismo originario di De Gasperi, Adenauer e Schumann, da allora retorica per coprire un altro disegno di nazionalismo francese e tedesco. L’Italia, da fondatore della Comunità, divenne un Paese secondarizzato (anche per colpa sua). A questo asse strategico si aggiunse quello ideologico dello statalismo economico, diventato oggi eccesso di euroburocraticismo, per il semplice fatto che tale era la cultura politica dominante in Francia e Germania (ed in Italia). Tale storia, pur schematizzata, spiega l’anomalia dell’euro. Parigi lo impose alla Germania come garanzia che la seconda non diventasse la potenza unica europea dopo la riunificazione (1989) e che non rompesse il patto diarchico (in realtà rotto e ciò spiega l’impasse europea degli ultimi anni). Quindi l’euro nasce come moneta politica indipendente da considerazioni economiche pratiche. Ed in queste parole c’è il motivo di tutta la sua debolezza, equivalente alla svalutazione sul dollaro di oltre il 25% da quando è nata (1999). In breve, sarebbe mito continuare in questo modo. Sarebbe realismo, invece, ritornare ad un’”Europa dei pari”, che si integri molto dove è necessario (istituzioni e regole economiche) e dove non lo è lasci che le nazioni restino sovrane, entro una continentalizzazione del principio di sussidiarietà. 

E’ mito l’idea (francese) di un’Europa che debba diversificarsi a tutti i costi dall’America, mantenendo una divergenza sostanziale pur entro l’alleanza. Sarebbe realtà, invece, competere con gli americani sul piano dell’eccellenza e dell’efficienza, puntare nel futuro alla fusione dei due mercati e così riunire la prima e la seconda Europa, far convergere euro e dollaro in un’unica area di stabilità monetaria ed economica con effetti globali eccezionali.

In questi anni, anzi mesi, siamo sospesi, e divisi sia internamente sia tra nazioni, tra un politica che persegue i residui del vecchio mito e le spinte del nuovo realismo. A voi la scelta, ma almeno sappiate di che scelta si tratta.

(c) 2002 Carlo Pelanda
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