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Carlo A. Pelanda
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il%20Giornale

2007-4-16

16/4/2007

Il criterio dell’aquila

Irrompe nelle cronache la “questione Putin”. Dobbiamo trovare un criterio per valutarla, cioè per decidere se Putin sia un tiranno che dobbiamo contrastare o un leader che dovremmo sostenere in quanto tenta di riordinare la Russia dovendo usare per necessità maniere forti.

Nella Russia post-sovietica degli anni ‘90 tutto fu svenduto e chi era più violento o furbo costruì enormi ricchezze. Il nuovo sistema democratico fu una facciata, la sostanza del potere gestita da oligarchi, tutti dotati di propri agglomerati industriali e milizie. Boris Yeltsin, volente o nolente, fu più un notaio di questo gruppo che un capo di Stato. Il disordine fu totale. L’ex URSS si era già sciolta generando per frammentazione una decina di nuovi Stati indipendenti nelle aree europea e centroasiatica. Quella siberiana era percorsa da fremiti di separatismo incentivati da poteri esterni che puntavano al controllo delle sue risorse energetiche. Così succedeva in Cecenia con la complicazione del sostegno di Al Qaida all’insorgenza islamica. Alla fine degli anni ’90 Putin sostituì Yeltsin, spinto da un gruppo di élite nazionaliste russe, con un programma sia di ricostruzione dell’ordine interno sia di fermare la frammentazione. Per sconfiggere gli oligarchi ne fece fuori o mise in carcere una parte per convincere l’altra a collaborare. Quello che sulla stampa occidentale è stato commentato come regressione della democrazia è stato, in realtà, un tentativo di ricostruzione di un potere centrale per bloccare l’anarchia. Nel 2001 Putin andò da Bush per offrirgli il sostegno russo dopo l’11/9 in cambio del riconoscimento di Mosca come partner privilegiato. Bush rifiutò e nell’occasione dell’invasione dell’Afghanistan mise sotto controllo statunitense tutta l’Asia centrale ex-sovietica umiliando Mosca. Nel 2002 Putin tentò con Francia e Germania un’alleanza eurasiatica per contenere l’espansione americana. Ma nel 2004/5 la riconvergenza euroamericana  e l’interesse tedesco ad escludere e, forse, frammentare ancor più la Russia lasciarono Mosca isolata e disperata. Putin, appena il prezzo del petrolio salì, usò le risorse energetiche per ricostruire l’impero russo interno ed esterno come risposta ad un Occidente che non lo voleva e sabotava. Nel 2006 bloccò con il ricatto energetico l’espansione ad est della Ue, riprese la Cecenia, completò il controllo delle risorse energetiche e con questa forza riaffermò globalmente l’interesse nazionale russo. Nel 2008 ci saranno le elezioni presidenziali e Putin vuole  far eleggere o uno che continui la sua opera o restare nonostante la regola che lo vieta. Questa prospettiva sta alimentando le violenze, in attacco e difesa, che trovate nelle cronache. Certo, è la storia di uno Zar. Ma penso che Putin non poteva fare altro e che quindi sia stupido valutarlo con il metro normale. Ritengo, soprattutto, che abbiamo bisogno di Mosca per la sua energia e per rafforzare l’area occidentale, considerando che America ed Europa sono ormai troppo piccole, anche insieme, per contenere il gigante cinese. Invece di imputare Putin in base a principi astratti, sarebbe più razionale offrirgli una prospettiva che mai americani ed europei, sbagliando, gli hanno proposto: il riconoscimento inclusivo di Mosca come terzo pilastro dell’Occidente in cambio di un programma di ripristino della democrazia interna quando sarà finita la bonifica. Se ci pensate, il nostro interesse vitale è che Bruxelles, Washington e Mosca si uniscano in una sola aquila a tre teste. Questo è il criterio di valutazione che propongo.    

(c) 2007 Carlo Pelanda
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