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Carlo A. Pelanda
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2005-12-4

4/12/2005

La priorità della Bce è politica non tecnica

Cosa c’è sotto il nervosismo degli eurogoverni e degli economisti che ha accompagnato l’aumento del costo del denaro dal 2 al 2,25%, annunciato dalla Bce giovedì scorso? C’è una questione complicata, ma che va semplificata per permettere a tutti di valutarla data la sua rilevanza.   

Il punto di dissidio tra governi e il presidente della Bce, Trichet, è il seguente. La crescita economica media corrente nell’eurozona è minima. I governi, di qualunque colore e con eccezioni solo minori, non hanno alcuna speranza di poter far crescere investimenti e consumi interni. Perché le riforme di efficienza sono contrastate da maggioranze sociali con una ansietà tale da far loro preferire il mantenimento delle vecchie garanzie al costo del declino economico piuttosto che il rischio di vederle ridotte in cambio di più opportunità di ricchezza nel futuro. La società europea è sfiduciata nonostante la fine dei motivi tecnici del pessimismo: dal 2003 nel mercato globale, nel 2005 nella stessa Europa dove le cose stanno andando un po’ meglio. Ma non così bene, appunto, da poter sperare di spuntare una crescita sufficiente, senza riforme di impulso, tale da sanare l’impoverimento o la disoccupazione che negli ultimi anni hanno colpito circa il 25% della popolazione dell’intera eurozona. In sintesi, c’è una ripresina, ma non il consenso per trasformarla in boom via detassazione e/o liberalizzazione né la sovranità economica per accendere deficit stimolativi, per esempio grandi lavori pubblici, perché il Patto di stabilità li vieta. In queste condizioni resta solo un modo per fare crescita: quella trainata dalle esportazioni. Ma per ottenerla il cambio dell’euro deve scendere sul dollaro affinché l’export divenga più competitivo. E per riuscirci si dovrebbero tenere i tassi dell’euro un po’ più di due punti sotto quelli del dollaro perché ciò sposta i flussi di capitale globalizzato dal primo al secondo, alzandone il cambio. Ma, invece di tenere fermi i tassi per aiutare la ripresa, la Bce li ha alzati. La motivazione nominale è che prevede una crescita media dell’eurozona, nel 2006, di circa il 2,5% con un rischio che l’inflazione aumenti un pelino tra 18 mesi. Aggiungendo che bisogna agire con molto anticipo per frenarla. Qui sono insorti gli economisti: al momento il rischio di inflazione non c’è, quello prospettico è assorbibile, comunque è minore di quello di soffocare sul nascere la ripresa. C’è il sospetto che Trichet abbia alzato i tassi senza necessità. Ma lo ha fatto di poco. Due letture: (a) all’interno della Bce ha avuto uno scontro con chi voleva - i fondamentalisti dell’inflazione zero anche se costa sangue - un rialzo omicida perfino più grosso e ha scelto quello minimo per poi non farne più e così tenere una politica monetaria stimolativa per tutto il 2006; (b) ha voluto dare il segnale che vuole un valore di cambio alto dell’euro e che devono essere i governi a forzare le riforme di efficienza per fare più crescita interna. Nel primo caso, se verrà confermato, Trichet va capito e lodato. Nel secondo, invece, andrebbe redarguito ed avvertito. L’Europa non è in una situazione normale. La Germania deve finanziare il consenso di più di 5 milioni di disoccupati strutturali per evitare rivolte. La Francia ha un problema perfino peggiore. Altre nazioni cominciano ad averne di simili. O cresciamo e diamo ricchezza agli impoveriti oppure il rischio politico si farà rovente. Ed i governi, impotenti nel riformare, incolperanno la Bce e l’euro anche se questi sono innocenti, veri colpevoli i modelli nazionali e le regole assurdamente vincolanti dell’euromoneta. Infatti Moody’s, per la prima volta, non esclude la dissoluzione dell’euro per motivi politici. Conclusione: Trichet deve decidere se correre il rischio di una finis europae, la Bce unico vero organo di governo paneuropeo, per evitare quello di un po’ di inflazione o accettare il secondo per annullare il primo. Questa è la vera questione: la priorità della Bce non è “tecnica”, ma “politica”: privilegiare la stabilità all’Europa su quella, pur entro limiti di sicurezza, della moneta.  Non si riesce a capire quanto Trichet ne sia consapevole.

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