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Carlo A. Pelanda
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2001-9-10

10/9/2001

La boa non è troppo lontana

In questi giorni l’ansia di tutti per le sorti dell’economia è al massimo. In particolare, la settimana borsistica che si apre risente del crollo dei giorni scorsi. Visto il momento eccezionale, lasciatemi subito saltare alle conclusioni: il peggio sta passando e la boa della svolta non è troppo lontana. Aggiorniamo lo scenario.

L’economia, tipicamente, ha andamenti ciclici. Quella più recente, trainata dalle nuove tecnologie dell’informazione e dalla globalizzazione, tende ad accorciare i periodi di recessione e ad allungare quelli di crescita. Ma i cicli restano. Quindi è sensato chiederci a quale punto del ciclo siamo. E cosa esattamente dobbiamo osservare. La risposta alla seconda domanda è semplice. L’economia globale è trainata da quella americana, che da sola ne vale circa il 20% del volume complessivo, e soprattutto traina tutto il resto del mondo assorbendone il più delle esportazioni. Per questo l’avvio di una fase semirecessiva negli Usa, da metà 2000 in poi, ha depresso le economie reali e finanziarie del pianeta, chi più chi meno, così come ne aveva spinto la crescita, dal 1996 al primo semestre dell’anno scorso, quando è stata in pieno tiro. Europei e nipponici, sulla carta, potrebbero essere seconda e terza locomotive mondiali, ma esibiscono poca forza motrice propria per difetti di efficienza nell’architettura politica dei loro mercati interni. Nel secondo caso disastrosi, nel primo meno, ma comunque frenanti. In sintesi, bisogna guardare a quale punto è il ciclo negli Usa per capire cosa e quando ci capiterà.  E questo vale in particolare per gli umori generali delle Borse che seguono sostanzialmente quelle americane.

 Negli Usa probabilmente si è vicini al fondo. Il fatto che sia aumentata la disoccupazione (comunque sul 4,9%) indica, insieme ad altri dati, che le industrie stanno finendo la ristrutturazione e che d’ora in poi saranno configurate per fare nuovamente profitti  pur con una domanda più debole. Lo scenario ottimistico vede che nei prossimi due mesi questo processo dovrebbe terminare. Quindi le Borse potrebbero cadere ancora, ma il pavimento da cui rimbalzare appare molto vicino. Questo, detto schematicamente, è un quadro che appare il più probabile alla luce dei dati correnti.

 Ma anche la probabilità che le cose potrebbero andare fuori controllo non è irrilevante, pur minore. Se i licenziamenti continuano ciò potrebbe minare la fiducia dei consumatori proprio a ridosso delle vendite invernali (natalizie), che pesano per circa 1/3 del Pil americano. I dati mostrano che i licenziamenti stanno diminuendo e che il tempo medio per trovare un nuovo lavoro è molto inferiore ai sei-otto mesi che si sono registrati nella recessione dei primi anni ’90. Quindi il sistema tiene. Ma preoccupa l’umore del mercato azionario. La caduta è stata grave e gli investitori vogliono segnali precisi che la ripresa sia vicina prima di tornare in Borsa. Per esempio, i titoli tecnologici, per lo più quotati sul Nasdaq, sono in numero crescente sottovalutati (non ancora in Italia ed Europa perché più dense di “bidoni”). Tecnicamente, questo mercato - che ha un effetto pilota - sarebbe pronto per un rimbalzo. Ma la fiducia è zero. D’altra parte, al primo segnale credibile, viste le buone condizioni sistemiche per la ripresa – inflazione calante, produttività crescente, tassi monetari in discesa e, appunto, una ancora buona tenuta dei consumi, ecc. – è molto probabile che i flussi di investimenti tornino in Borsa e la rialzino. Tuttavia bisogna scontare un riavvio lento perché non necessariamente le notizie del prossimo mese saranno prive di ambiguità. Inoltre i titoli quotati sul Nyse, rappresentati dall’indice Dow Jones – Industrial, sono ancora un po’ troppo alti e potrebbero cadere un altro po’ prima di trovare un pavimento da cui rimbalzare.

 La sensazione di sintesi è che il ciclo americano, pur ancora in caduta, sia a pochi metri dalla boa che indica la svolta. Come detto non è escludibile un tracollo, anche perché oltre ai problemi interni l’economia americana esporta di meno, dollaro alto a parte, perché il resto del mondo sta veramente andando male. Tuttavia la maggiore probabilità premia lo scenario ottimistico. Quando? Verso ottobre l’America dovrebbe raggiungere il fondo e poi rimbalzare, con un primo effetto forte di ripresa verso febbraio-marzo (ipotesi qui più volte inquadrata da gennaio in poi). Che si farebbe sentire dopo qualche mese anche in Europa, ma che le Borse potrebbero scontare molto prima al rialzo, forse già in tardo autunno. Se questo potrà realizzarsi, resta tuttavia molta incertezza in merito all’entità della crescita possibile negli Usa nel 2002. Difficilmente potrà essere scoppiettante e il caso migliore ora scenarizzato la porta attorno al 3%. Che per l’America non è tantissimo e forse potrebbe essere insufficiente a far rimbalzare il resto dell’economia planetaria, soprattutto quella europea, prima che la tendenza recessiva si aggravi. Tale rimbalzo molto lento a livello internazionale potrebbe avere un effetto boomerang sul sistema americano e ridurne tasso di crescita e velocità. Cosa che riporterebbe in basso le Borse ancora in convalescenza. Niente di catastrofico, ma certamente i tempi non facili continueranno anche dopo l’avvio della ripresa in Usa. Comunque, se devo proprio scommettere, giocherei la carta ottimistica. Anche per l’economia italiana. Se il ciclo internazionale non va del tutto a pallino, allora noi, grazie alle stimolazioni in attuazione da parte del nuovo governo, potremmo diventare il Paese più in crescita dell’eurozona, il resto compresso da rigidità e pesi irriformati, nel 2002. Per intanto è un augurio.

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