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Carlo A. Pelanda
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Il%20Tempo

1997-2-7

7/2/1997

Destino di decadenza industriale

Carnevale politico, deindustrializzazione reale. I dati Istat di venerdì mostrano una caduta verticale del fatturato e degli ordinativi nelle industrie tra il novembre del 1995 e quello del 96. Altre stime confermano che nel 1997 il fenomeno peggiorerà. I dati di chiusura, riduzione, trasferimento all'estero delle imprese sono impressionanti. Quelli relativi a nuovi investimenti industriali raggelano: praticamente zero. Lettori, questa non é più una semplice recessione, é una "regressione strutturale". Cosa vuol dire? Che senza correzioni urgenti marciamo verso il 20% e oltre di disoccupazione "reale". Equivale ad un impoverimento di circa 1/4 della ricchezza nazionale in pochi anni. Decadenza e miseria. Non ci credete? Valutiamo sulla base dei fatti.

La crisi é dovuta a problemi contingenti di ciclo dell'economia mondiale non dominabili nazionalmente? No. Nel 97 l'economia mondiale crescerà di circa il 4%. Il mondo tira da matti. Ma la crescita nei Paesi europei a Stato sociale, invece sarà meno della metà. Vi suggerisce qualcosa? Tutti i sistemi statosocialisti sono sull'orlo del collasso economico. Lo si vede ancor meglio nel dettaglio dei dati sulla disoccupazione. In Francia, Germania ed Italia continua a crescere puntando verso il 15% (Spagna e Finlandia già attorno al 20%). E perché la disoccupazione e la deindustrializzazione aumentano nei Paesi a Stato sociale? Perché le alte tasse e rigidità protezionista del mercato del lavoro soffocano la crescita ed espellono i capitali di investimento. Ci salverà l'euromoneta? No, anzi. Prima, la rigidità monetaria e la politica deflazionistica imposte dai parametri di Maastricht peggioreranno drammaticamente la situazione. Dopo sarà ancora peggio. Gli Stati dovranno tenere la stabiltià finanziaria, rigidamente, a scapito dell'economia reale. Ma é proprio vero che lo Stato sociale é così catastrofico dappertutto? Certo e lo si vede con l'analisi comparativa. Gli Stati a sistema liberista, Stati Uniti e Regno Unito per esempio, rientrerebbero già oggi nei parametri esibendo anche un alto tasso di crescita (quasi il 4,5% negli Usa contro l'1% in Italia ed il 2% previsto in Germania). Soprattutto l'economia liberista dimostra di poter tenere la disoccupazione a livelli minimi: attorno al 5% negli Stati Uniti, sul 6% nel Regno Unito. Vi basta per dimostrare il fallimento assoluto del modello di Stato sociale?

Come andrà a finire? Dopo un po' i sistemi sociali impoveriti perderanno stabilità. A quel punto o verranno riformati con un alto costo sociale, amputazioni, oppure salteranno del tutto. Ma Francia e Germania non possono liberalizzare con velocità per il tipo di struttura industriale e sociale rigide che si ritrovano. Per loro é apparentemente razionale tentare di costruire - e dominare imperialmente- un protezionismo europeo che erga una diga contro la competitività globale. Ma tale razionalità é figlia di una crisi di impotenza non di una strategia positiva. Fallirà perché l'ondata é più alta della diga. L'Italia, in teoria, può liberalizzare velocemente e prendere un assetto di economia della crescita perché ha un sistema industriale diffuso, mobile e flessibile. Nei fatti non lo sta facendo. L'attuale direzione politica del Paese sposa un modello interno ed europeo che ne ucciderà l'enorme potenziale economico.

Abbiamo una possibilità di invertire questo destino? Certo. Lo Stato sociale va sostituito con lo "Stato della crescita". Se ciò viene fatto entro pochi anni c'é ancora abbastanza ricchezza residua per finanziare in forma straordinaria il cambiamento in modo da ridurne il costo sociale e, quindi, renderlo possibile. Il passaggio al nuovo Stato implica una transizione di circa due milioni di persone da un lavoro protetto ad uno sul mercato. E questa migrazione permette quella di circa tre milioni di disoccupati e sottoccupati, soprattutto giovani, verso un nuovo lavoro. Bisogna usare comtemporaneamente diverse leve di governo: defiscalizzazione e deregolamentazione per aumentare la crescita e nuove opportunità di occupazionali; finanziamento straordinario per incentivare e sostenere la ricerca di nuovo lavoro da parte di chi lo perde nei settori protetti. Il punto delicato é mantenere l'equilibrio tra cinque dimensioni: gettito che si perde con la defiscalizzazione; gettito che che si guadagna grazie alla crescita pur in un ambiente di minore tasse; riduzione della spesa pubblica bilanciata con gli oneri di finanziamento straordinario della transizione; inflazione; riduzione del debito. Difficile? Certo, tuttavia non impossibile a farsi in un Paese come l'Italia che reagisce velocemente agli stimoli di crescita. Ma non lo si può fare dentro i vincoli di Maastricht, senza una direzione politica di altissima qualità e senza un cambiamento totale di tutta la struttura legislativa e degli strumenti istituzionali. La situazione oggettiva è tale da non permettere più né rimandi né tantomeno soluzioni compromissorie.

(c) 1997 Carlo Pelanda
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