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Carlo A. Pelanda
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2001-3-19

19/3/2001

Meglio non fidarsi dei rimbalzi

I mercati, e i piccoli risparmiatori in particolare, stanno aspettando il rimbalzo delle Borse, in caduta continua dall’inizio dell’anno, molto grave nella settimana scorsa. Quella che si apre vedrà la svolta?

 Martedì prossimo ci sarà l’evento più atteso dal mercato finanziario globale: la riunione del comitato monetario della banca centrale americana (Fed). Si prevede un ribasso dei tassi di riferimento di mezzo punto percentuale(dal 5,50 al 5) ed una posizione favorevole ad ulteriori decrementi nel futuro.  Il mercato, nei giorni scorsi, sperava in un taglio più robusto dello 0,75%. Ma alcuni segnali lasciano indicare che la Fed sarà più prudente. Il presidente Greenspan non vuole, probabilmente, dare l’impressione che ci sia un’emergenza tale da abbattere drammaticamente il costo del denaro per ripompare liquidità in un sistema in grave crisi. Oppure teme che un segnale forte, in un momento psicologico depresso, non sortisca effetti, depotenziando la credibilità della Fed. O ha paura che riparta una bolla prematura con un tonfo successivo peggiore di quello attuale. Comunque sia,  il mercato ha percepito che è troppo presto per tentare un rimbalzo duraturo e, nei giorni scorsi, ha continuato a vendere azioni. Anche perché si accavallano le brutte notizie sui profitti futuri delle imprese quotate, segno che l’andamento negativo dell’economia reale americana, europea e globale è ancora in corso. Sommando tutti questi segnali generali, la probabilità maggiore è che nella prossima settimana gli indici delle Borse possano frenare la caduta, tentare qualche picco di rimbalzo, ma sostanzialmente non invertire ancora la tendenza. Quindi attenzione, piccoli risparmiatori, a non farsi prendere dall’entusiasmo se si vede una ripartenza della crescita dei valori azionari. Non è ancora il momento buono. D’altra parte, se le Borse continueranno a calare, non ci si spaventi oltre misura.

 In realtà è ancora molto diffusa la fiducia che il rimbalzo arriverà presto. E questa speranza si basa su tre assunti: (a) l’economia americana è “veloce” e quindi il periodo di stagnazione sarà breve ed il rimbalzo stellare, così il traino del resto dell’economia mondiale; (b) la Fed abbasserà i tassi al punto giusto per far ripartire il sistema ed evitare un prolungamento della stagnazione nonché il rischio di recessione; (c) il prezzo del petrolio non arriverà a vette pericolose e non contrasterà con il suo potenziale inflazionistico la stimolazione economica via riduzione del costo del denaro. L’insieme di tali previsioni porta a credere che vi sarà un rimbalzo a “V” da luglio in poi. E’ importante avvertire che, da una parte, il rimbalzo certamente ci sarà, ma che francamente la probabilità che sia veloce e forte già da metà anno è piuttosto bassina. Enfatizzo questo punto non per scoraggiare, ma per riportare le speranze entro un quadro più realistico, anche per evitare delusioni.

 Permettetemi di semplificare: la caduta della crescita americana deve sfogarsi e così lo sgonfiamento della bolla finanziaria del 1999-2000. Tra quando un sistema economico frena e quando può riaccelerare c’è un tempo tecnico, in mezzo, di stallo. Per esempio, nell’agosto del 2000 molte imprese americane hanno ridotto gli investimenti e le scorte per il 2001 perché, appunto, veniva detto loro (a suon di rialzi dei tassi e di previsioni sulla necessità di un rallentamento per evitare il surriscaldamento da troppa crescita) che l’anno successivo sarebbe stato “magro”. Anche se vedessero ora l’orizzonte di una ripresa, l’effetto sulla crescita di nuovi investimenti arriverebbe a fine anno o all’inizio del 2002, difficilmente prima. Sul piano borsistico, poi, il quasi dimezzamento dei valori azionari in meno di un anno non ha necessariamente prodotto, ancora, un giusto prezzo delle azioni. Questo si basa sui profitti stimati possibili nel futuro. Troppe aziende quotate al Nasdaq o sui nuovi mercati europei hanno un prezzo che sconta profitti non credibili, cosa che tocca anche molte “blue chips” degli indici tradizionali (Dow Jones, Mib 30). E questo è un fattore tecnico che spinge a ribassi ulteriori. E’ vero che tante società quotate hanno raggiunto un prezzo interessante e sarebbero, ora, da comprare. Ma è anche vero che il mercato pensa che gli indici potrebbero scendere ancora e quindi aspetta un momento perfino migliore. A questo punto, infatti, molti (grandi) operatori hanno interesse in cadute più profonde per acquistare a migliori condizioni. E anche i soggetti in attesa di acquisire aziende stanno aspettando che le seconde riducano il proprio valore borsistico per catturarle con meno oneri.

 Poi bisogna aggiungere che le altre economie del mercato globale sono in crisi o quasi. Quella giapponese è in deflazione piena. L’Argentina deve uscire dalla recessione. Sulla Cina c’è un punto di domanda. La nostra eurozona sta rallentando. E lo si vede dal rialzo del dollaro nonostante le difficoltà americane: il capitale mondiale, in ansia, vola verso l’America (titoli di Stato) che comunque è il luogo più sicuro del pianeta. Con questo voglio dire che non ci saranno altre locomotive ad anticipare ed aiutare la ripresa di quella americana. Nel calcolare tutti questi fattori – più un prezzo del petrolio probabilmente non tanto basso quanto sarebbe necessario ed una certa prudenza della Fed, e della Bce, nel ridurre i tassi – lo scenario mostra che il rimbalzo non potrà ad essere a “V”, ma più proibabilmente a “U” (cioè con un fase intermedia più lunga). Ciò significa che bisogna posporre di qualche mese l’appuntamento con la ripresa reale e borsistica duratura, al prossimo inverno. Andrà tutto bene, ma tanta prudenza prima di allora.   

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