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Carlo A. Pelanda
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2008-12-14

14/12/2008

Senejuvenes dum sumus

 Il ministro Brunetta ha proposto di alzare l’età del pensionamento ai 65 anni per uomini e donne. I sindacati urlano scandalo, ma in realtà la misura è necessaria. Inoltre è ora di adattare il sistema pensionistico concepito nel passato alla nuova società di oggi. Cerchiamo di capire.

La pressione per alzare l’età del pensionamento deriva dal fatto che lo Stato non può reggere il finanziamento della vita di una persona oltre una certa durata. Per questo va allungata quella lavorativa. La vita media in Italia tende oltre gli 80 anni. Se uno smette di lavorare a 60 anni, o prima, significa che potrebbe restare a carico del bilancio pubblico anche per tre decenni. Se la crescita demografica fosse maggiore, più lavoratori giovani pagherebbero con le tasse i salari dei pensionati. Ma quella prevista fino al 2050 non potrà avere tale forza. Si potrebbe aumentare l’immigrazione oltre i tetti oggi esistenti. Ma sarebbe difficile assorbirne di più. L’enorme debito drena decine di miliardi di euro ogni anno per pagarne gli interessi e non è riducibile sostanzialmente in tempi brevi, anche se è una priorità trovare il modo di riuscirci. Altri modi per sostenere i costi crescenti dello Stato sociale in una tendenza demografica stagnante? Potremmo aumentare la produttività e così il volume di Pil e relativo gettito. Ma bisognerebbe ridurre tasse e personale pubblico e non c’è il consenso. Alzare le tasse? Tale opzione distruggerebbe l’economia, così come la mostruosa pressione fiscale corrente la ha depressa endemicamente.  In sintesi, la riforma di sostenibilità dello Stato sociale implica comunque modifiche sostanziali, ciascuna carica di dissensi e problemi di fattibilità. In questo quadro quella più fattibile e con minori impatti traumatici è proprio l’allungamento dell’età lavorativa. Permetterebbe allo Stato di ridurre i costi nei prossimi decenni, con immediato beneficio nel medio termine. Lo spazio di bilancio così ricavato renderebbe possibile ridurre le tasse per la stimolazione economica e, prima, tenere meglio i conti pubblici - il cui equilibrio è essenziale per evitare la sfiducia sul debito nazionale da parte del mercato -  durante la recessione del 2009 e la difficile ripresa del 2010.  Se uno analizza la questione in termini freddi e realistici troverà che il portare l’età di pensionamento a 65 anni è la soluzione più razionale perché sia efficace sia la meno traumatica.

Mano traumatica?  L’anziano di oggi non è il vecchio di ieri. Un po’ l’alimentazione, molto l’igiene, moltissimo la medicina, i microclimi meno stressanti delle abitazioni moderne, ecc. rendono un uomo o una donna di 65 anni perfettamente capaci di lavorare come, per dire, un quarantenne. Non tutti, la biologia è selettiva. Non tutti i lavori. Molti infatti sono insostenibili oltre una certa età. Ma nella maggioranza dei casi e dei lavoratori  si vede nei fatti che la nuova generazione di cinquantenni e sessantenni è atta al lavoro e, soprattutto, vogliosa di continuare a lavorare. La pensione, per molti anche se non per tutti, è come una “morte sociale”. La sinistra tende a vedere il lavoro separato dalla vita realizzativa dell’individuo. Comprensibile quando il lavoro era alienante. Ma quanti lavori oggi realmente lo sono? Alcuni, non tutti, e probabilmente la maggioranza dei lavori soddisfa chi li fa fondendo lavoro e realizzazione individuale. Inoltre, perché mai un 70enne non dovrebbe cercare un nuovo lavoro? Il gruppo industriale che presiedo ha un amministratore delegato di 75 anni. Perché? E’ bravo, serve. Così come lo sono un ingegnere di 68 anni ed un operaio di 66.  Il co-direttore anziano del mio istituto di ricerca, 68 anni, guadagnerebbe – nel sistema universitario statunitense -  di più andando in pensione, ma la pospone per non perdere lo stimolo a vivere e a pensare. Le persone attive e soddisfatte del loro lavoro dovrebbero avere il diritto di scegliere il momento di andare in pensione  Perché mai non dovremmo accettare un sistema misto fatto di pensioni facoltative, anticipate per diritto in casi di lavoro erosivo, ecc., portando gli standard di riferimento per la vita attiva ai 65 anni ed anche oltre? In conclusione, Brunetta ha forse aperto un vaso di Pandora sul piano politico, ma grazie al suo coraggio possiamo discutere di una riforma che adatti il regime pensionistico alla varietà delle diverse situazioni individuali e all’allungamento della vita attiva. Non scandalo, ma necessità ed anche opportunità.

(c) 2008 Carlo Pelanda
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