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Carlo A. Pelanda
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2013-2-19

19/2/2013

Nella nuova partita geoeconomica America e Cina competeranno per sedurre l’Europa

Dal 1993 il rubricante invoca e scenarizza la formazione di un mercato euroamericano come nucleo di un ulteriore mercato comune e globale delle democrazie, la Free Community. L’analisi era ed è che dopo la fine della Guerra fredda l’Impero americano avrebbe rinazionalizzato i propri interessi, trasformandosi da Impero in Regno con priorità domestiche, ritirandosi da impegni diretti nel mondo pur mantenendo l’interesse ad influenzarlo. Il problema, dal punto di vista occidentalista, era ed è che non c’è una nazione democratica, la Ue inconsistente, con forza sufficiente per essere nuovo centro imperiale e contrastare le potenze emergenti del “capitalismo autoritario”. Quindi il nuovo Impero del “capitalismo democratico” poteva e può solo emergere come alleanza globale tra democrazie, cementato da un mercato comune e dalla convergenza monetaria. Il rubricante ebbe un sussulto di speranza quando nel gennaio 2007 Merkel, in veste di presidente di turno della Ue, propose a Bush l’integrazione delle regole finanziarie e legali americane ed europee. Ma la mossa era più finalizzata a mostrare a Mosca che non poteva esagerare con il ricatto energetico che a fare sul serio. E Bush declinò, pur avviando un gruppo di studio, così consigliato da chi riteneva non ancora finito l’Impero americano. Ora Obama ha rilanciato l’offerta, molto più in grande. Cosa è successo? E’ evidente che l’America è ormai troppo piccola per influenzare da sola il globo. E’ evidente che la superiorità militare da sola non ha effetti condizionanti. Quindi la strategia statunitense di mantenere un’influenza mondiale indiretta ha bisogno di includere l’Europa, nonché le altre democrazie asiatiche, in un’alleanza anche economica per sperare di limitare e condizionare, in particolare, l’espansione dell’Impero cinese. Non avrebbe senso fare la guerra in modo classico alla Cina perché sarebbe come bombardare il proprio business. D’altra parte la Cina va condizionata affinché si comporti bene e si democratizzi, non solo per obiettivo morale, ma anche per evitare che nel futuro imploda con devastante impatto globale, frammentandosi, destino certo se resterà un sistema autoritario incapace di bilanciare le tensioni sociali. In particolare, la formazione di un mercato globale delle democrazie – che diventerebbe l’area economica e monetaria più grande nel pianeta - serve a condizionare le non-democrazie aprendone e chiudendone gli accessi senza necessità di frizioni belliche, pur essenziale il mantenimento della superiorità militare per dissuadere reazioni aggressive. Inoltre, un mercato internazionale delle democrazie tenderà a regole convergenti che ridurranno la concorrenza interna per costo, permettendo così il mantenimento di una configurazione di libero mercato compatibile con i requisiti di elevata fiscalità dei sistemi di welfare. La Cina ovviamente reagirà, cercando di convincere la Germania – ricattabile sul piano dell’export – a rallentare la convergenza economica della Ue con l’America, così sabotando la Free Community di cui l’accordo euroamericano è passo fondativo. L’America potrà, e pare voglia, controreagire offrendo a Berlino ed al resto dell’Eurozona un forte vantaggio immediato per compensare le eventuali perdite di relazione privilegiata con Pechino. Comincia così una nuova partita di geopolitica economica. Il futuro evento chiave? Un Papa con forza simbolica tale da mettere in testa una corona al nuovo imperatore di una comunità occidentale che includerà democrazie asiatiche, americane ed europee, quindi o nordamericano o proveniente dal Pacifico. Nova Pax condenda? Vi Romae ad victoriam.

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