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Carlo A. Pelanda
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2000-8-21

21/8/2000

Barometro economico: tempo bello, ma nubi all’orizzonte

Sta per riprendere in pieno l’attivita’ economica. Quale scenario abbiamo davanti nei prossimi mesi?

L’economia globale e’ in crescita prorompente. Quindi nel breve periodo possiamo aspettarci che tutto andra’ bene in quanto ogni singola nazione viene avvantaggiata da questa buona situazione nel pianeta. L’Italia ne gode di meno - infatti sta crescendo a ritmi che sono la meta’ di quelli delle nazioni comparabili -  a causa di un modello politico non favorevole allo sviluppo del mercato, come piu’ volte analizzato su queste pagine. Comunque galleggiamo, in qualche modo, grazie all’effetto traino che viene dall’esterno. Ma questo dipende principalmente dall’eccezionale crescita ancora in corso negli Stati Uniti e da quella, pur piu’ lenta, in Europa. Ci sono rischi che tale crescita si interrompa? Al momento no, ma ci sono nubi all’orizzonte: inflazione e conseguente necessita’ di aumentare i tassi (cioe’ il costo del denaro) con il rischio di mandare l’economia in recessione.

Negli Stati Uniti e’ gia’ finito il periodo di rallentamento della crescita. Nel 1999 e primi mesi del 2000 l’autorita’ monetaria (Fed) ha cercato di raffreddare l’economia surriscaldata alzando progressivamente i tassi monetari. Tale manovra ha calmato un poco i consumi e l’eccesso di giochi speculativi in Borsa. Ma la speranza di incanalare la crescita entro un incremento del Pil annuale attorno al 3,50% - considerato sostenibile in una situazione di piena occupazione - e’ stata di breve durata. Infatti l’economia americana ha ricomnciato a muoversi con un incremento tendenziale del Pil annualizzato vicino al 5%. In sintesi, la manovra calmierante e’ riuscita a raffreddare leggermente la domanda di beni da parte dei consumatori statunitensi, ma non a sufficienza. In situazioni dove la domanda supera l’offerta c’e’ ovviamente il rischio di inflazione. Che sta aumentando a causa dell’incremento continuo del prezzo del petrolio. E la Fed si prepara a manovre molto piu’ violente di restrizione dell’espansione economica. Quando? Non nei prossimi due mesi, per due motivi. Il primo e’ che l’inflazione non mostra ancora segni tali da dover ricorrere a strette d’emergenza. Il secondo e’ che l’autorita’ monetaria non vuole, probabilmente, turbare il clima delle prossime elezioni presidenziali con azioni che potrebbero generare un’improvvisa recessione a causa di un aumento violento dei tassi (comunque gia’ alti). Pertanto, in teoria, fino al prossimo novembre tutto dovrebbe restare come e’. Il mercato finanziario ha percepito questo momentaneo allentamento del guinzaglio e si prepara a spingere un rialzo delle Borse, duramente colpite qualche mese fa proprio dalla prospettiva di rialzo dei tassi monetari. Le aziende che vogliono quotarsi stanno affrettando l’operazione per cogliere questo buon momento (sia in America che in Europa). I fondi di investimento sperano in un rally borsistico che ne migliori i deludenti risultati della prima parte del 2000. Ma proprio questo atteggiamento rischia di far esplodere di nuovo una bolla borsistica e costringere la polizia monetaria ad anticipare la manovra sui tassi o ad inasprirla. Il mercato ha percepito anche questa seconda parte dello scenario ed e’ incerto tra il riprendere la corsa e il non rischiare. E questo spiega la mancanza di una chiara direzione nelle Borse (tutte quelle del mondo dipendenti dagli andamenti delle piazze finanziarie americane). Tuttavia sta prevalendo l’opzione di tentare un rally autunnale. Cio’ rende probabile che la Fed si trovera’ a gestire, verso novembre o dicembre, una situazione di surriscaldamento e di bolle. Con in piu’ l’esperienza del semifallimento di anno intero passato  a carcare di rallentare con mezzi morbidi e gentili la pazza corsa dei consumi e dei titoli azionari. Una manovra monetaria violenta, tipo i tassi a breve del dollaro oltre il 7%, apre la possibilita’ di una recessione americana nel 2001. Che sarebbe breve, ma comunque evento capace di bloccare la crescita mondiale trainata dagli USA.

Tuttavia nessuno riesce a credere che la Fed prenda il rischio di creare una crisi economica. Quindi e’ piu’ probabile, se rialzera’ i tassi, che lo faccia continuando nello stile morbido usato fino ad ora, confidando sul fatto che prima o poi la crescita dovra’ rallentare un po’ in quanto ha raggiunto i limiti fisiologici. Possiamo sperare in questo scenario morbido? Al momento appare il piu’ probabile sulla base delle intenzioni di chi governa l’economia americana. Ma va anche detto che ci possono essere molte brutte sorprese. Per esempio, l’inflazione americana e’ rimasta finora abbastanza contenuta, in relazione alla crescita vulcanica che dura da ben 8 anni, non solo perche’ le nuove tecnologie hanno aumentato enormemente la produttivita’ del sistema industriale, ma soprattutto perche’ il dollaro alto ha ridotto il prezzo delle merci importate, calmierando il tutto.  Ma ora in tutti i paesi del mondo c’e’ crescita, chi piu’ chi meno. Ed i prezzi delle loro esportazioni aumenteranno (anche per l’effetto di rivalutazione delle monete) creando un nuovo impatto inflazionistico nell’area del dollaro. Un altro rischio e’ che ci sia un effetto molto ritardato dei rialzi dei tassi avvenuti finora e che l’economia americana stia “nascostamente” rallentando anche se in mezzo a brevi vampate e rimbalzi. In tal caso – difficile da leggere nei dati – una manovra restrittiva per calmare l’inflazione creerebbe una grande crisi economica. In sintesi, pur essendo elevata la probabilita’ che tutto continui bene, sta aumentando il rischio di guai, verso l’inizio dell’inverno.

Per l’Italia, comunque, un guaio brutto sta gia’ iniziando. In tutte le aree monetarie piu’ importanti – dollaro, euro e yen – ci sara’ la tendenza al rialzo dei tassi. Che inverte una tendenza, in Europa, quasi decennale. Probabilmente tali restrizioni all’economia non saranno fatali per le sorti della crescita globale. Ma per l’Italia tassi piu’ alti significano maggiori costi del debito pubblico e relativo impatto negativo sul nostro bilancio nazionale. In conclusione, dobbiamo riabituarci a fare i conti con il rischio di inflazione e con il problema di un reale risanamento finanziario che troppo frettolosamente l’atuale governo ha dato per gia’ fatto.

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