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Carlo A. Pelanda
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2002-6-29

29/6/2002

La mondializzazione del Calcio mostra una via per come diffondere standard globalizzanti

Globopallonica. Ha colpito la rapidità con cui si può innestare una competenza calcistica e relativi simbolismi di massa in luoghi senza tale tradizione. Ciò ha mostrato una via per diffondere standard globali. La dottrina recita che la mondializzazione economica implica una standardizzazione culturale dove le differenze rimangano, ma entro limiti di compatibilità e rielaborate. Non nel senso di “omogeneizzazione”, cosa che produrrebbe sterilità. Ma in quello glocale di ridurre la “varietà divergente” (identità etniche chiuse, culture antagoniste alla modernizzazione, ecc.) ereditata da ciascuna storia locale per far produrre nuova “varietà – globalmente – convergente”. Non è facile. Per esempio, il consumismo si è diffuso in un battibaleno nel pianeta perché a tutti piace avere un televisore, ma stenta a penetrare il modello culturale complessivo che permette ad uno di comprarselo. In Occidente è evoluto per migliaia di anni, in Africa bisognerebbe innestarlo su una base antropologica incompatibile. E nessuno sa come fare. Vedere un Senegal calcisticamente competitivo “a standard” è stato illuminante. Il punto non è tanto la competenza inserita su un’assenza di tradizione attraverso l’importazione di un allenatore e di giocatori addestrati in Europa, pur indicatrice delle nuove possibilità date dalla mobilità internazionale dell’informazione e delle persone, ma l’apertura locale all’importazione culturale stessa. L’idea, in sintesi, è che esistano delle porte aperte (simbolismi veicolari) da cui far passare senza troppi ostacoli gli standard globalizzanti. Il Calcio ne ha mostrato una mentre i think tank globaliani restano fermi sul come sfondare quelle chiuse. Si può da qui tirare una linea che porti, per dire, ad un Giappone che accetti di importare gli standard di trasparenza bancaria? Direttamente e forzatamente no, ma indirettamente e consensualmente forse. Se uno standard estraneo viene percepito come valore positivo, allora viene importato con una duplice mutazione: varia la cultura locale e questa lo adatta a se stessa. I coreani ipernazionalisti, per esempio, hanno ipernazionalizzato il tifo, ma in realtà adeguandolo ai codici di comunicabilità internazionale. Il punto: quali modelli globalizzanti consensualmente importabili possono innescare un effetto indotto che riadatta indirettamente una cultura locale? Lo si studierà, ma il Calcio – oltre a dimostrarsi uno di questi - ha dato utili indicazioni per le ricerche future. Grati, ricambiamo con un suggerimento strategico gratuito: dovrebbe spettacolarizzarsi di più aderendo al tipo di gioco acrobatico inventato dallo spot della Nike. 

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