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Carlo A. Pelanda
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Il%20Foglio

2000-7-15

15/7/2000

L’Occidente non stia tranquillo. L’Aids può diventare un’epidemia anche nel mondo civilizzato

Pandemia Hiv-Aids: prima stima del conto economico per salvarsi (titolo originale)

La diffusione dello Hiv-Aids, a circa 20 anni dalla sua comparsa è ormai una peste globale. La quantità dei contaminati è ancora relativamente piccola su scala planetaria. Probabilmente sono circa 60 milioni se si rielaborano i dati epidemiologici ufficiali vistosamente sottostimati (di quasi il 25% a mio avviso) e si aggiungono, per inferenza, quelli non registrati. Inoltre il 70% dei colpiti è concentrato in Africa, soprattutto in quella subsahariana dove ci si attende entro il 2010 circa 40 milioni di orfani da Aids e dove già si notano riduzioni del Pil (che potrebbero arrivare al 20% in 19 paesi nel prossimo futuro) perché i lavoratori muoiono come mosche nelle miniere, aziende agricole e (poche) fabbriche dell’area. I governi sono inerti e silenziosi perchè spaventati dalla complessità dei problemi di gestione dell’emergenza. Per esempio, il rafforzamento dei sistemi sanitari di prevenzione e cura nei paesi poveri implica di fatto la sospensione della sovranità di quelle nazioni in quanto dovrebbero necessariamente essere "invase" da tecnostruture esterne e flussi di personale e risorse non governabili dai sistemi locali. Di fatto si trasformerebbe in una "ricolonizzazione" di almeno 40 Paesi e in un condizionamento pesante dall’esterno di almeno altri 60, tra cui Russia, India e Cina. Un incubo geopolitico. Le misure di contenimento, poi, implicano che tutti i cittadini del pianeta dovrebbero dotarsi di un certificato, periodicamente rinnovato, di stato di salute. Ed esibirlo nei transiti di frontiera. Incubo politico nelle nazioni a forte garantismo e tutela della privacy. E’ evidente che meno si parla dell’epidemia e meglio è per tutti i governanti. Come lo è una certa malizia disinformativa nell’esaltare il dato che nei paesi occidentali la lotta contro l’Aids sta avendo sucesso. Certo, le nuove medicine riescono a ridurre il numero dei morti tra gli impestati. Ma ben poche barriere ostacolano la contaminazione. E su questo punto critico c’è il silenzio dei governi nonostante il frastuono crescente dei dati.

Lo Hiv-Aids, variante "c", sta uscendo dall’Africa. In Italia, probabilmente, c’è l’hanno senza saperlo uno su due tra coloro che comprano servizi sessuali, senza protezione, dalle prostitute nigeriane o di altri paesi africani. Soprattuto lo Hiv si sta diffondendo con progressione geometrica. Nell’area russa e di parte dell’est europeo il tasso di contaminazione è triplicato in poco tempo. Simile la velocità di diffusione che si registra in India (dai 4 ai 7 milioni di contaminati). Pechino non fornisce dati certi, ma è filtrata recentemente una forte preoccupazione. Nei paesi ricchi sta funzionando abbastanza bene la campagna per l’autoprotezione negli atti sessuali, ma resta comunque troppo elevata la quantità di popolazione che agisce in modi non responsabili. In sintesi, lo scenario più probabile è che l’epidemia non sia contenibile né dalle misure attualmente in atto né tantomeno dai progetti di piccola scala, pur moralmente apprezzabili, abbozzati nel 13° Convegno internazionale per la lotta all’Aids, svoltosi a Durban questa settimana. A questo punto le soluzioni non possono essere altro che urgenti, intergovernative, globali e costose: (a) accelerare spasmodicamente la ricerca di un vaccino e somministrarlo a sei miliardi di persone; (b) nel frattempo rafforzare tutti i sistemi sanitari nazionali per la prevenzione e gestione dell’infezione. La prima misura comporta un costo ipotetico di circa 10 miliardi di dollari immediati per un programma "crash" di ricerca e sviluppo del vaccino. La seconda ha un costo iniziale di circa 80 miliardi di dollari per i paesi emergenti e poveri e annuale di 25, con un picco di 60 per l’anno in cui si soministrerà il vaccino agli abitanti del pianeta. Fissando convenzionalmente nel 2006 la possibile e sperabile vaccinazione mondiale, si tratta di stanziare globalmente, oltre alle maggiori spese nazionali sanitari, circa 710mila miliardi equivalenti di denaro pubblico internazionale per un programma globale quinquennale. Tanto, ma con questa cifra si potrebbe contenere il contagio globale sotto i 100 milioni di infettati. Senza, la peste potrebbe prendere 1/7 della popolazione mondiale entro il 2010 con serio rischio di crisi morale ed economica planetaria. Così mi risulta da una simulazione grezza e frettolosa.Vorrei conoscere le analisi e piani raffinatissimi che sicuramente i governi stanno predisponendo in materia. E voi?

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