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Carlo A. Pelanda
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1998-11-13

13/11/1998

Lezioni dalla crisi globale

La crisi globale é entrata nel 17° mese. E' sufficientemente matura per valutarla e trarne lezioni.

Il primo dato é che la crisi é stata "gestita" e non é andata fuori controllo. Poteva farlo. In pochi mesi la decapitalizzazione dell'Asia é stata di circa 6 trillioni di dollari (attorno ai nove milioni di miliardi di lire) in forma di capitale bruciato nelle borse, cadute di Pil e creditti inesigibili. Un brutto buco. Ha dimezzato in poco tempo la crescita mondiale, portandola dal 4% al 2%. Ha generato perdite enormi in tutti gli istituti bancari globalizzati e scosso la fiducia dell'intero sistema finanziario mondiale portandolo alle soglie del "credit crunch", cioé della restrizione del credito e relativa crisi di liquidità. Si é sfiorata la depressione mondiale, con un punto critico nel settembre scorso. Ma lo scenario di caso peggiore si é velocemente dissolto trasformandosi in recessione mondiale solo di media entità. Già il mercato comincia a scontare il rimbalzo e la ripresa della crescita entro il 1999. Ciò significa, appunto, che qualcuno é riuscito a tenere sotto controllo il sistema. E' una buona notizia, ma é più rilevante vedere chi e come.

Il secondo dato é che le strategie di gestione della crisi che hanno funzionato sono state di carattere molto tradizionali, poco sofisticate, quasi grezze. Segnalare questo ha rilievo perché nel mezzo della crisi é partita un'ondata di critiche formidabili alla inadeguatezza delle terapie d'emergenza del Fondo monetario internazionale, al comportamento dei governi asiatici ed ai sistemi del capitalismo internazionale. Ad un certo punto é sembrato che per riuscire a tamponare la crisi bisognava cambiare tutto. Invece non é cambiato niente ed ha funzionato. Per esempio, il Giappone ha subito pressioni enormi per cambiare il proprio modello consociativo come premessa per risanare un sistema bancario interno agonizzante a causa di più di un milione di miliardi di bad debt. Gli si chiedeva di chiudere una decina di banche per dare un segnale di volontà di risanamento al mercato. Tokyo, invece, ha più tradizionalmente tirato fuori qualcosa come ottocentomila miliardi di lire per rifinanziare le banche senza sognarsi di chiuderle. Così come il governo sudocoreano non ha nemmeno pensato di fare riforme di modello politico e sociale nel mezzo della crisi. Ha semplicemente tirato fuori i soldi per coprire il buco, tra l'altro diventando il maggior azionista del sistema industriale locale. In generale, il criticatissimo Fmi ha imposto ai paesi solo sulla carta condizioni capestro di riforma microeconomica (cioé di modello interno) in cambio del capitale per rifinanziare i sistemi nazionali inguaiati. Nella realtà non ha imposto un bel nulla di sostantivo e ha dato i soldi a sistemi irriformati senza pretendere che cambiassero in fase di crisi (Russia a parte). E ha funzionato proprio per questo. E' superficiale imputare al Fmi un eccesso di condizionalità che rende ogni sostegno finanziario causa di crisi recessiva. In realtà il Fmi, proprio grazie al proprio metodo nominalmente restrittivo, ma sostanzialmente largheggiante, é in grado di legittimare paesi inguaiati dandogli una patente di risanamento quando in realtà restano irriformati come prima. Cosa non bella né raffinata, ma estremamente pratica, specialmente in emergenza. Ed ha funzionato. La lezione generale é che in una crisi non si deve aumentare il tasso di riforma, ma quello di pragmatismo.

Il terzo, e più importante, dato é che il sistema mondiale ha tenuto grazie all'efficacia di gestione del sistema statunitense e dell'area del dollaro. I metodi grezzi detti sopra non sarebbero bastati a contenere il caso peggiore se non ci fosse stato un pilastro mondiale di alta qualità politica e di capacità economica reale. Greenspan si é mosso nel modo e tempo giusto dando al mercato globale l'iniezione di fiducia che chiedeva disperatamente. Rubin, ministro del Tesoro, ha per mesi e silenziosamente fatto il regista dello scenario mondiale contribuendo sostanzialmente a ristabilizzarlo. Raffinatissimo é stato il metodo di bastone e carota per condizionare l'incondizionabile Giappone a risolvere la crisi bancaria. Ma, soprattutto, é il risparmiatore americano che ha tenuto. Non ha ceduto al panico ed ha mantenuto l'ottimismo. E' la competenza ed efficienza tecnica del capitalismo di massa statunitense che ha salvato il mondo dal caso peggiore. Ed é una lezione chiara.

In conclusione, le lezioni dette dovrebbero far riflettere di più e meglio alcune persone. I catastrofisti che pochi mesi fa annunciavano fracassi (in Italia abbiamo avuto casi di giornalismo ed espertismo panico) dovrebbero imparare a distinguere tra crisi gestite e no. Quelli che sparano ricette urgenti di riforma del Fmi dovrebbero analizzarne più a fondo i comportamenti reali prima di parlare. Coloro che invocano la riforma di un modello nazionale nel pieno della crisi come strumento per uscirne dovrebbero essere più umili nel riconoscere le virtù del pragmatismo.

(c) 1998 Carlo Pelanda
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