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Carlo A. Pelanda
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1999-11-29

29/11/1999

Perché il mercato non ha fiducia nell'euro

Nel dicembre 1998 gli analisti della Merrill Lynch chiesero ai responsabili di 240 fondi di investimento se prevedessero un euro debole o forte nel 1999. La stragrande maggioranza rispose che l'euro sarebbe stato più forte del dollaro e dello yen. La Banca centrale europea (Bce) ed i governi dell'eurozona non perdevano occasione di profetizzare: "l'euro sarà fortissimo". Ad un anno di distanza tale previsione si é dimostrata clamorosamente sbagliata. Il valore di cambio é sceso moltissimo in relazione al dollaro ed alla moneta nipponica. Il 4 gennaio 1999 ci volevano 1,17 dollari circa per comprare un euro. In questi giorni ne basta uno netto più un paio di centesimi. Una perdita del valore di cambio superiore al 10% in undici mesi significa senza ombra di dubbio che l'euro é nato come moneta debolissima. Continuerà tale debolezza o no?

La Bce e gli 11 governi dell'eurozona hanno dichiarato - in occasione della riunione dell'Ecofin di lunedì scorso - che non é assolutamente vero che l'euro sia in crisi. Il problema é che il dollaro e lo yen sono troppo forti perché le economie che rappresentano stanno tirando (il Pil di quella americana sta crescendo a ritmi del 5,5% con inflazione minima) mentre quella europea é ancora stagnante. Quindi non c'é da preoccuparsi per la debolezza dell'euro perché non é strutturale, ma determinata solo da questa situazione contingente. Che si risolverà - aggiungono gli eurogoverni - quando anche l'economia europea, in particolare le ancora depresse Germania ed Italia che insieme fanno la metà del Pil dell'eurozona, riprenderà a crescere. Questo é un ritornello che sentiamo da mesi. In teoria é del tutto credibile. Ma qualcosa non quadra. C'é un grande consenso sulla previsione che il Pil europeo del 2000 crescerà - mediamente - attorno al 2,5% annuo. Il mercato, d'abitudine, anticipa il più possibile le tendenze che cominciano a delinerasi con certa chiarezza. Quindi dovremmo aspettarci, in base allo scenario ottimistico, che in questi giorni chi é in dollari (e può cambiarli oltre le 1900 lire) abbia buoni motivi per trasferirsi in euro per ottenere due vantaggi: cambio favorevole e rimbalzo futuro dei valori finanziari europei. Ma tale fenomeno non sta avvenendo. Se ci fosse, l'euro sarebbe in fase di robusto rialzo. Come capitò allo yen la primavera scorsa ai primi segnali che l'economia stava riiprendendosi dopo una brutta e lunga recessione. L'unica spiegazione é che il mercato non crede ancora né alla crescita europea né tantomeno alla solidità dell'euro. Ha ragione o torto?

Non ha tutti i torti. Per esempio, l'Italia finirà il 1999 con una crescita del Pil attorno all'1%, di fatto stagnazione. Poiché questa (che dura dal 1996) é causata da un modello politico che soffoca il mercato, non si vede come il nostro Paese possa salire ad un 2,5% di crescita se tale modello non cambia. E non ci sono sono segnali di mutamento, basti vedere la finanziaria "piatta" in via di approvazione. Lo stesso può dirsi al riguardo della Germania socialdemocratica. Con una complicazione. Quel governo difende dalle acquisizioni estere le aziende tedesche (caso Vodafone-Mannesman) e finanzia assistenzialmente quelle decotte (per esempio, Holtzman). Tale atteggiamento deprime sia le prospettive della Borsa tedesca - e di afflusso dei capitali dal dollaro, o dalla sterlina, in euro - sia la credibilità di una riforma di efficienza dell'economia germanica, e quindi delle sue speranze di crescita. In sintesi, il mercato non ha ancora motivi concreti per fidarsi delle previsioni eurottimistiche.

Inoltre ha fondate ragioni per dubitare della stessa solidità tecnica dell'euro. I paesi dell'eurozona, con poca crescita ed irriformati sul piano dei costi crescenti dello Stato sociuale, hanno difficoltà nel rispettare la tendenza al pareggio di bilancio da cui dipende la robustezza della moneta unica. La Bce non ha brillato per chiarezza delle sue scelte nel corso del 1999. I suoi poteri non appaiono del tutto definiti così come la sua capacità di intervento in caso di crisi o scompensi finanziari. Soprattutto c'é la sensazione che l'ambiente economico europeo, per sua inefficienza (per esempio, mancanza di concorrenza), possa produrre troppa inflazione qualora si accendesse qualche fiammella di ripresa. In sintesi, oltre alle perplessità sulla crescita reale, il mercato non ha ancora piena fiducia sulla conduzione dell'euro. Ed infatti la sua perdita di valore di cambio può essere spiegata solo per metà dalla forza degli altri mentre l'altra metà é basata su una vera e propria crisi di fiducia. Il fatto che i governi e la Bce non vogliano ammetterlo preoccupa ancora di più il mercato ed aggrava la sensazione di poca credibilità dell'euro. Sarebbe molto meglio che i governi ammettessero che la moneta unica é partita con il piede sbagliato e che, per il prossimo futuro, rimedieranno. Il mercato sarebbe colpito positivamente dal coraggio di dire la verità e sicuramente la premierebbe. Ma governi e Bce ancora non ci sentono da questo orecchio e l'euro continua ad inciampare sulle loro balle.

(c) 1999 Carlo Pelanda
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