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Carlo A. Pelanda
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1997-12-10

10/12/1997

Chi é il killer dell'occupazione?

L'economia cresce, ma la disoccupazione aumenta. Sembra un paradosso. Purtroppo é un fenomeno reale. Chi é il killer dell'occupazione?
Cominciamo da un'analisi comparativa per capire sia i contorni della scena del delitto sia i possibili indiziati. I dati mostrano che negli Stati Uniti e Regno Unito la crescita economica é seguita da occupazione crescente. Il tasso di disoccupazione nel primo Paese, infatti, é arrivato al minimo record del 4,5% e nel secondo sta attorno al 6%. Francia, Germania e Italia, invece, marciano su percentuali di non occupati vicine al 12%. In aumento. Spagna e Finlandia esibiscono picchi attorno al 20%. La media europea della disoccupazione é circa il 10%. Eppure sono due anni che le economie del vecchio continente stanno crescendo, anche se un po' meno di quelle inglese e americana. Come mai da una parte la crescita tira più occupati e dall'altra produce l'effetto opposto? Evidentemente il "serial killer" che uccide il lavoro opera nel sistema europeo-continentale e non in quello anglo-americano. Quale fattore distingue i due sistemi? La quantità di statalismo: maggiore nel primo, minore nel secondo. Il modello di Stato sociale-assitenziale di tipo europeo continentale appare, quindi, il primo indiziato per omicidio del lavoro.
Verifichiamo l'ipotesi più in dettaglio. Perché e come avviene la perdita del lavoro? Le imprese chiudono o riducono il personale a causa dell'aumento della concorrenza causata dalla globalizzazione dell'economia. Le nuove tecnologie permettono di sostituire gli uomini con la macchina. La nuova mobilità del capitale favorisce la delocalizzazione delle attività produttive in luoghi meno costosi. In generale, la pressione competitiva porta alla ricerca esasperata di formule di efficienza che aumentino i profitti riducendo i costi. E questa spinta é la causa delle espulsioni dal lavoro.
A questo punto dell'analisi l'imputato sembrerebbe essere il mercato globale nella sua veste di capitalismo accelerato che pretende maggiore efficienza dalle unità economiche a scapito dei volumi occupazionali. E questa ipotesi é quella che va per la maggiore nelle analisi fatte dagli indagatori di sinistra. La loro soluzione é: ingabbiate il mercato globale e così si arginerà la disoccupazione. Ma investigatori più attenti si accorgono subito che questo modo di vedere non sta in piedi. Torniamo all'analisi comparata. Il mercato statunitense é perfino molto più aperto alla pressione competitiva di quello europeo. Eppure sia cresce sia fa occupazione. Lente di ingrandimento. Si nota che gli espulsi da un lavoro ne hanno trovato subito un altro. C'é stato sì l'effetto selettivo della nuova concorrenza, ma anche nuovi investiotori hanno creato nuova occupazione. Milioni di americani sono passati da un lavoro all'altro. Milioni di europei sono passati da un lavoro alla disoccupazione. Cosa dicono i poliziotti di sinistra al riguardo? Che i nuovi occupati americani hanno sì trovato un lavoro, ma a peggiori condizioni di salario e contratto di quello precedente. Agli occhi di costoro, quindi, i disoccupati europei sono equivalenti aii sotto-occupati americani, ambedue vittime del liberismo turbocapitalista e globalizzato. Vediamo i dati. Non é vero. In America i redditi medi degli occupati (e i consumi) sono aumentati, fino al punto che l'autorità monetaria é da tempo sul chi vive per il pericolo di inflazione. Abbiamo un caso lampante, in sintesi, dove la globalizzazione in un sistema liberista é oggettivamente fonte di ricchezza di massa. E la crescita comporta l'ovvia conseguenza di generare più occupazione.
Perché in Europa no? Per il semplice fatto che ad ogni posto di lavoro perso non corrisponde la creazione di uno nuovo. Motivo? Nessun investitore crea nuova impresa perché le tasse sono troppo alte, le protezioni sindacali troppo rigide ed il costo del lavoro troppo alto. Di fatto il protezionismo statosocialista disincentiva la creazione di nuovi posti di lavoro. Quelli che si perdono non vengono rinnovati. E così aumenta la disoccupazione. E continuerà ad aumentare nonostante la prevista crescita del Pil fino a che questo modello di Stato non verrà cambiato e sostituito con uno ispirato al liberismo economico. Mistero risolto. Resta da capire meglio perché il Pil può crescere senza generare più occupazione. Semplice: meno aziende, ma efficientate come detto sopra, trovano un mercato globale in piena effervescenza di domanda: esportano di più e fanno profitti. Questi ingrassano metà della popolazione. Ma l'altra metà dimagrisce perché si é ridotta la base industriale e produttiva complessiva a causa dei mancati reinvestimenti sul nuovo. Il bilancio tra i due fenomeni da comunque un piccolo segno positivo in termini di Pil. Ma la realtà sociale sottostante é terribile. Le società europee si stanno spaccando tra nuovi ricchi più ricchi e poveri sempre più poveri. Fa ridere che le intelligenze rosse chiamino "Stato sociale" proprio un modello che uccide la possibilità di diffondere socialmente la ricchezza. Dovrebbero diventare rossi di vergogna.
Quella riportata, pur schematizzata all'ossso, é un'indagine oggettiva su dati altrettanto oggettivi. Chiunque la può ripetere e trovare le stesse cose. Ai lettori il compito di trarre le conseguenze politiche. La mia é di scarcerare il liberismo innocente ed imprigionare la statosocialismo colpevole. E buttare la chiave.

(c) 1997 Carlo Pelanda
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