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Carlo A. Pelanda
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Milano%20Finanza

1996-8-16

16/8/1996

La difficile scelta dei moderati

L'ultimo articolo che scrissi su queste pagine, il 29 settembre 1993, cominciava con questo ossimoro: "moderati alle armi". Tre anni dopo mi ripresento con le stesse parole perché nel frattempo poco é cambiato, molto é peggiorato.
La politica sta andando da una parte, la realtà da un'altra. A metà degli anni 90 il fatto che lo Stato sociale sia fallito non é più una verità "politica", ma "tecnica". Più tasse uguale a meno occupazione, più Stato uguale a meno sviluppo. E' una verità nota da tempo. Ma fino a metà degli anni ‘8O essa non aveva l'evidenza esplosiva di oggi. Il modello di "economia sociale di mercato", in Germania, sembrava funzionare. Gli statosocialisti prendevano questo esempio per dimostrare che fosse possibile conciliare la competitività economica con elevate garanzie assistenziali. Si replicava a costoro: "guardate la realtà, per favore". Già allora (quasi dieci anni fa) era evidente che la fine della circolazione prevalentemente nazionale del capitale e la sua globalizzazione senza frontiere avrebbe reso impossibile qualsiasi politica protezionista e fortemente redistributiva. Il capitale va dove trova più remunerazione se é libero di farlo. Tra un Paese dove il costo del lavoro é 100 e le tasse sono 1000 ed uno dove costi e tasse sono dieci volte di meno, é ovvio che gli investimenti e le attività industriali vadano nel secondo e non nel primo. E così é successo appena il capitale ha trovato libertà di movimento ed una rivoluzione tecnologica che permetteva di accelerare e mondializzare operazioni e profitti. Per questo motivo i Paesi a Stato sociale cominciarono a subire la deindustrializzazione e la fuga degli investimenti, in dimensioni sempre più devastanti dagli inizi degli anni 90. E questo spiega in buona parte perché la disoccupazione nell'Europa statosocialista é aumentata ed aumenterà ancor di più senza un cambiamento del modello economico. Infatti in Germania se ne sono accorti, pur in ritardo, e Kohl é il primo che ha messo mano ad una terapia d'urgenza di smantellamento dello Stato sociale. Francia, Germania ed Italia hanno il problema irrimandabile di dimezzare le tasse ed i costi pubblici, nonché di liberalizzare completamente il mercato del lavoro, per poter salvare il salvabile. Ma nei primi due Paesi la politica tenta - anche a costo di rischiare il conflitto- di andare nello stesso senso della realtà.
In Italia, invece, la divergenza tra politica e realtà aumenta. Prodi a Bari ha annunciato che tutto va bene, che si alzeranno un po' le tasse e che lo Stato creerà lavoro. Ed é follia crederlo, irresponsabilità annunciarlo. Senza riforme della sanità e delle pensioni la spesa pubblica é e sarà sempre di più fuori controllo. Le industrie se ne vanno per sfuggire al macigno fiscale ed ai costi non competitivi. Non esiste esempio al mondo dove lo Stato abbia creato nuovo lavoro. Esistono esempi dove ad ogni posto di lavoro artificiale finanziato con le tasse e la mediazione politica corrisponde o un licenziamento o una opportunità in meno di occupazione reale nel mercato. La chiamano, perfino, "solidarietà". Il Paese si sta svuotando di ricchezza e riempiendo di povertà. Andando avanti così raggiungeremo in pochi anni il 20% di disoccupazione reale ed il dimezzamento della capacità industriale nazionale, cioé la fine economica del nord. E irrealismo chiama irrealtà: il secessionismo non é altro che la risposta simmetrica ad un metodo di governo folle. Il popolo moderato e produttivo é prigioniero tra due mostri: i comunisti (post, neo e quasi) ed i celtici. Dalle fauci dell'uno esce la fiamma della povertà che porta alla guerra, l'altro risponde con la guerra che porta alla povertà.
Ecco perché le cose devono cambiare subito. Ciò avverrà nel senso del bene e non del male solo se i moderati saranno i protagonisti del cambiamento. Ma per esserlo dovranno accettare una nuova definizione di "moderato": lo é non chi rifiuta a priori le soluzioni forti, ma chi é capace di dare conseguenze moderate ad una rivoluzione quando essa é necessaria. E adesso lo é.

(c) 1996 Carlo Pelanda
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