Carlo Pelanda

IL DOMENICALE Luglio 2007

Il sorriso dell’Aquila

Nell’analisi di uno scenarista figlio della Guerra Fredda, prende corpo un blocco mondiale a tre teste. Simboli profondi e linguaggio fortissimo: più che il vecchio che ritorna, il nuovo che avanza.

Prendi un eclettico triestino abituato alla Guerra Fredda dei grandi blocchi contrapposti. Metti un’assidua frequentazione dei luoghi e dei nomi della politica estera “che conta”. Aggiungi un amore per il linguaggio forte o fortissimo, e quello che ne esce è l’Aquila a tre teste de La Grande Alleanza di Carlo Pelanda, edito da Franco Angeli.

Icona mitica, archetipo dei Grandi Imperi (Austro-Ungarico, Russo, ecc ecc), simboleggia il nuovo che avanza, l’unione tra le potenze occidentali (UE, USA in primis) ed un pezzo d’Oriente (Giappone, India) per il governo del pianeta.

Il libro, a quanto pare, arriva sugli scaffali al momento giusto, mentre ancora si stanno posando le polveri dell’ultimo meeting G8. L’edizione appena conclusa, infatti, ha suggellato la nascita di un asse nippo-occidentale, che vedrà UE, USA e Giappone uniti sull’agenda strategica mondiale dei prossimi anni.

Berlino, Londra e la “nuova” Parigi sarkoziana hanno definito assieme una linea politica di avvicinamento tra le due sponde dell’Atlantico, che prevede la creazione di un mercato comune euro-americano o una serie di accordi di libero scambio tra Bruxelles e Washington (nome in codice: TAFTA, Trans-Atlantic Free Trade Agreement) per rinsaldare i legami euroamericani e pensare in grande.

L’idea di fondo è che il confronto diretto con la Cina (ormai non solo economico/finanziario) è all’orizzonte. Già oggi, ammonisce Pelanda, Pechino spacca l’America tra chi vuole mantenere il comando finanziario del pianeta e chi pragmaticamente sostiene che sia meglio riconoscere la realtà ed allearsi con i cinesi. In prospettiva, infatti, è evidente che l’America ed il dollaro non potranno reggere  la posizione di importatore che sostiene la crescita di tutto il pianeta. 

Se ne sono accorti anche quaggiù nel Vecchio Continente, dove è allo studio una sequenza integrativa analoga a quella europea (economica prima, politica poi) per il ponte transatlantico. Una possibilità sempre più palpabile, soprattutto da quando la vittoria di Sarkozy ha sancito la rupture con il passato chiracchiano della Francia, tradizionalmente all’insegna dell’antiamericanismo.

Gli scenaristi, a dire il vero, ammettono che i problemi potrebbero nascere non tanto sul versante nippo-europeo, bensì su quello americano, abituato ad un primato incontrastato. Pelanda, che si è “fatto” negli States e conosce bene gli americani, teme soprattutto l’indisponibilità statunitense ad accettare vincoli.

Anche se, alla lunga, è probabile che Washington finirà per riconoscere la convenienza (secondo molti, ormai una necessità) di trattare alla pari con europei e giapponesi, unico modo per far fronte ai numerosi impegni sullo scacchiere internazionale.

Il che, nel breve, significherebbe stabilizzare i Paesi islamici e le minoranze stabilite in Occidente, e spegnere la minaccia iraniana.

Sul lungo periodo, la sfida sarà però con la Cina, come rivelano la costante crescita economica, militare e tecnologica di Pechino, unita ad un crescente attivismo “fuori porta”. Gli ultimi mesi, ad esempio, hanno visto inviati con occhi a mandorla in Africa garantirsi fonti di approvvigionamento “fresche” (soprattutto energetiche) sotto gli occhi di Europei e Americani.

Al momento, l’obiettivo dell’Europa a guida anglo-franco-teutonica è di concludere un accordo per favorire il mantenimento del  modello economico ad alti costi occidentale di fronte alla concorrenzialità crescente del sistema produttivo asiatico.

Tra la Cina ed il blocco nippo-occidentale, Pelanda individua un’ampia “zona grigia” di Paesi che dovranno inevitabilmente scegliere da che parte stare: l’opzione del nubilato, nel Caos che lascia spazio al Cosmos, è esclusa.

Il caso più interessante è quello della Russia di Putin. Mosca è riuscita a fare delle proprie risorse energetiche (soprattutto gas) uno strumento di interdizione politico-strategica molto efficace. Putin, poi, lancia costantemente messaggi forti rivolto verso Occidente:lo dimostrano le dichiarazioni “muscolari” sul riarmo russo e sullo scudo missilistico di questi giorni. Per tacere del dossier iraniano, ennesima partita in cui la Russia per ora balla da sola. Tutte pedine, è evidente, nelle mani del negoziatore Putin.

Peraltro, proprio sul fronte russo, un ruolo di spicco spetta alla Germania che, nella propria storia recente, ha alternato un rapporto privilegiato con gli USA all’intimità tra Schroeder e Putin. Un connubio, quest’ultimo, culminato nella nomina dell’ex Bundeskanzler nel board di una partecipata di Gazprom. La Merkel, da parte sua, ha accompagnato una ferma condanna degli aspetti più autoritari della gestione Putin con atteggiamenti diplomatici. Con uno stile tutto suo, riservato e marziale, molto appropriato per chi, come questa ragazza venuta dall’Est, fa politica sul serio.

Oltre che del vero negoziato in corso con gli Usa, Germania e Russia hanno per esempio siglato nei mesi scorsi un accordo (“una sorta di nuova Yalta”, la chiama Pelanda) che lascia Ucraina, Bielorussia e Moldova a Mosca in cambio di un compromesso sui prezzi dell’energia. La cosa è stata comunicata come decisione di fissare i confine orientali della Ue per concentrarsi sulla strutturazione interna europea. Uno stile che consegna idealmente la Merkel al ruolo di trait d’union tra Russia resto della UE e USA, e la proietta tra gli statisti capaci di fare politica estera in grande.

Dedicato a chi ancora crede che le lezioni della Guerra Fredda siano inutili, e che la forza sia “soft” come il tonno da tagliare con il grissino. La Grande Alleanza next è un pennuto tricipite, e ha gli artigli parecchio affilati.

 

Francesco Galietti