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Carlo Pelanda: 2010-10-12Libero

2010-10-12

12/10/2010

La Cina è una mina

L’incapacità di condizionare Pechino da parte di americani ed europei è preoccupante. La Cina, infatti, è fonte di quattro rischi sistemici, crescenti: (a) implosione catastrofica del mercato interno per instabilità politica con conseguenze catastrofiche sul piano globale; (b) se verrà evitata la guerra civile per la conquista dei vertici del partito comunista nel 2012, comunque la fragilità ed opacità del suo sistema economico ne causeranno una crisi grave con impatto esterno destabilizzante; (c) prima di questi eventi le sue politiche di svalutazione competitiva, di concentrazione del surplus commerciale in un fondo sovrano per scopi di dominio invece che di sua diffusione nel mercato interno per aumentarne la crescita, di gestione politica del credito che ne nasconde una montagna inesigibile, ecc.,  produrranno una distorsione grave, come sta avvenendo, nel ciclo globale del capitale; (d) se il regime autoritario cinese riuscirà a sopravvivere, è probabile che continuerà nella politica di non far limitare il proprio interesse nazionale da quello di stabilità globale anche a scapito del secondo. Per questi motivi la Cina è una mina economica oltre che una mostruosità etica e politica.  

Gli eventi degli ultimi giorni confermano che la Cina non è condizionabile via politiche normali. La novità del G7 di Washington, dedicato a come convincere la Cina a rivalutare lo yuan per ridurne la distorsione nel ciclo globale del capitale e del lavoro, non è stato tanto il suo fallimento quanto il fatto che l’America ha tentato di allearsi con gli europei per fare più pressione su Pechino. Ovviamente non ha funzionato perché la Germania vive di megacontratti con la Cina, La Francia che presiederà il G20 da gennaio ha bisogno dell’aiuto della Cina per tentare un accordo monetario internazionale, per altro illusorio, che ridia lustro al povero Sarkozy, l’Italia ha bisogno di investimenti cinesi, tutti questi ricattabili e quindi supini, il nostro bravo Tremonti perfino lirico nell’assecondare Pechino: poverini, onestamente hanno detto che se non esportano via svalutazione poi implodono con massacri sociali. Inoltre la Bce, con ragione, è infuriata con la Riserva federale statunitense perché stampa troppi dollari per stimolare la ripresa così facendo crollare il dollaro – mettendo l’euro ed il suo export in trappola – e, peggio, esportando una paurosa bolla di inflazione. Il problema dello yuan è parso secondario in confronto a questo comportamento destabilizzante. Ma resta il fatto che Obama ha abbandonato il progetto di fare G2 con la Cina, entro il vago contenitore G20 voluto proprio per dare spazio alla diarchia sinoamericana, in sostituzione del G7 infatti derubricato nell’estate del 2009, ma ora riesumato. Tale svolta americana è rilevante e rende nuovamente possibile sperare di poter condizionare la Cina. Come? Creando una nuova area di mercato che includa le democrazie e le nazioni che vogliono diventarlo, a partire da un nucleo euroamericano, e che sia più grande della Cina. Questo nuova area economica avrà proprie regole e Pechino dovrà rinegoziare con essa i propri accessi commerciali, accettando condizioni. Quali? Per prima cosa la stabilizzazione del suo sistema politico in modo che le lotte di potere non divengano destabilizzanti, non necessariamente con democrazia subito, ma almeno con un meccanismo semielettivo controllato internazionalmente. Poi va imposta la condizione di trasparenza del sistema bancario nonché la separazione netta tra banca centrale e politica. Poi un sistema di controlli che minimizzi la concorrenza sleale, pur applicato gradualmente. In sintesi, condizioni che permettano una maggiore stabilità alla Cina ed al mercato globale. Qui è un cenno, ma invito i politici europei a pensare in grande e a lungo smettendola di farlo a breve e solo in modi tattici. L’emergere della Cina impone un’alleanza euroamericana capace di condizionarla. In caso contrario non ci sarà più un’economia da commentare, ma solo rovine.

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