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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2012-12-3L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2012-12-3

3/12/2012

Abbassare il cambio per contrastare la disoccupazione

In quanto tempo la massa di quasi tre milioni di disoccupati potrà essere ridotta in Italia? Come? Se lo chiede la gente con ansia, ma anche gli economisti con molta preoccupazione. Gli analisti, infatti, vedono nei dati relativi all’Eurozona un blocco di tutti quei fattori che tipicamente favoriscono la crescita e quindi l’occupazione: (a) il vincolo al pareggio di bilancio, per la priorità di non aumentare il debito, non permetterà più di creare lavoro attraverso spesa in deficit, cioè non permetterà allo Stato di essere “occupatore di ultima istanza” e, anzi, ridurrà in prospettiva la quantità di lavoro richiesta dal settore pubblico; (b) l’operazione di tagliare sostanzialmente la spesa pubblica per fare spazio alla detassazione stimolativa, pur tecnicamente l’unica in grado di rilanciare una forte crescita di investimenti e consumi è ostacolata dal fatto che per un certo periodo tale azione ha effetti recessivi prima di generare quello positivo e dal problema di dove ricollocare i dipendenti pubblici eventualmente licenziati nonché dall’ostilità ideologica prevalente nell’Eurozona di ridurre il perimetro dello Stato; (c) la politica monetaria della Bce è fortemente influenzata dall’idea tedesca che sia meglio tenere il cambio dell’euro alto per ridurre l’inflazione importata (energia e materie prime prezzate in dollari) piuttosto che abbassarlo per favorire sia l’export sia gli investimenti di capitale non-euro. Pertanto, in una situazione dove le tasse restano alte, lo Stato non può fare interventi stimolativi ed il cambio resta de-competitivo, non si vede come si possa (ri)creare lavoro. Anzi, lo scenario mostra che se almeno uno dei fattori detti non verrà ammorbidito, allora di lavoro ce ne sarà sempre di meno. Quale tra questi può esserlo più facilmente? Evidentemente il cambio. Se l’euro scendesse verso la parità con il dollaro, le esportazioni denominate in euro andrebbero in boom, rilanciando la crescita senza generare inflazione eccessiva e costi energetici insostenibili (riducendo il carico fiscale sui carburanti). Inoltre le nazioni più dipendenti dal turismo – quelle mediterranee ora più in crisi – godrebbero di una maggiore capacità di attrazione, anche di investimenti, nei confronti dell’area non-euro, risollevandosi più rapidamente. L’America non ha avuto alcuna esitazione nell’abbassare il cambio del dollaro per contrastatare la disoccupazione. Non si capisce perché l’Eurozona non dovrebbe fare altrettanto. Se lo facesse ora, in Italia l’occupazione tornerebbe in ripresa già nell’estate 2013 mentre alle condizioni attuali ciò non avverrà prima del 2016/18.

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