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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2006-11-6L' Arena,
Giornale di Vicenza,
Brescia Oggi

2006-11-6

6/11/2006

La crisi americana chiama l’Europa a nuove responsabilità

Quello che succede in America, poiché centro del sistema globale, ha conseguenze per noi, dirette ed indirette. In questi giorni l’America sarà in cronaca per tre motivi. Martedì ci saranno le elezioni per il rinnova parziale di Camera e Senato (il Congresso) dove è probabile, stando ai sondaggi, che il Partito repubblicano perda la maggioranza nella prima e che farà fatica a mantenerla nel secondo. La disoccupazione è arrivata ad un minimo storico, ma la crescita economica e, per la prima volta dagli anni ’80, l’incremento di produttività rallenta. Il dissenso per come il ministro della Difesa, Rumsfeld conduce le operazioni in Iraq ed Afghanistan ha toccato i vertici militari, cosa mai vista finora. Il più dei commentatori tende e tenderà ad enfatizzare gli errori di Bush e la crisi del suo mandato. C’è. Ma tale crisi nasce da una di fondo che qui voglio chiarire perché imporrà un cambiamento di visione a noi europei. 

 Il problema principale nasce da un errore di sopravalutazione della forza statunitense. Nel 2001 Bush adottò un piano il cui obiettivo era quello di cambiare il mondo per sradicare il terrorismo. Ma già nel 2004 fu chiaro che gli Stati Uniti non avevano i mezzi militari, finanziari e di consenso internazionale per ottenere questo fine così ambizioso. Il punto: l’America rimane la superpotenza singola mondiale, ma non è più grande abbastanza per pretendere di dare ordine da sola ad un globo più denso di nuove potenze e problemi. Questo è l’errore analitico di fondo che poi ha generato, a catena, gli altri mettendo l’America in una situazione di voler fare quello che non poteva. Lo stesso errore fu fatto dall’amministrazione Clinton dal 1992 al 2000. Tentò di bloccare il riarmo nucleare dell’India e non ci riuscì. Tentò di chiudere il conflitto palestinese e non ci riuscì. Tentò di lanciare il progetto di Rinascimento africano e non ci riuscì. Incluse la Cina nel mercato globale senza chiedere garanzie di democratizzazione e ordine interno fiduciosa di poterla costringere nel futuro a darle, ma Pechino non le ha mai date diventando oggi un incubo per slealtà competitiva e per rischio di destabilizzazione interna a causa di uno sviluppo senza basi solide. In sintesi, anche Clinton pensava che l’America potesse fare più cose di quelle che in realtà poteva. Quindi gli errori di dettaglio delle amministrazioni statunitensi, dai primi anni ’90, sono dipesi dal ritardo di comprensione del fatto che l’America non aveva più la scala per essere impero mondiale. Ma ciò rende il problema molto più grave. La sicurezza e l’economia globale sono centrate sul pilastro americano. Se questo si indebolisce vi saranno guai per tutti. Infatti avrete notato come nel 2005 e 2006 gli stessi governi europei che avevano antagonizzato l’America in precedenza hanno cambiato linguaggio ed ora adottano uno di rafforzamento dell’Alleanza atlantica, perfino Parigi pur a modo suo. La Germania, che prenderà la presidenza della Ue a gennaio, sta valutando di proporre una maggiore convergenza (economica) euroamericana sia per non isolare gli Stati Uniti sia per averli alleati dopo la svolta neoimperiale della Russia e l’impiego della potenza energetica come strumento di ricatto. Unire di più America ed Europa è la soluzione per ridare al globo un pilastro più solido. Da un lato l’America dovrà capire i propri limiti, ma dall’altro noi dovremo comprendere che la crisi americana costringerà l’Europa a trasformarsi da passiva in attiva, a prendere responsabilità globali, cosa a cui non siamo più abituati dal 1945. Ma dovremo farlo e in fretta.  

(c) 2006 Carlo Pelanda
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