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Carlo Pelanda: 2017-7-25La Verità

2017-7-25

25/7/2017

Bisogna dare una testa all’Italia

Pensate che senza una maggiore governabilità verticale, attraverso una modifica costituzionale, l’Italia possa fare tutti i cambiamenti di modello interno che sono necessari e adeguarsi attivamente allo scenario esterno in rapido mutamento? Nei mesi scorsi ho fatto questa domanda a parecchi politici di centrodestra e centrosinistra. La risposta, con rare eccezioni, è stata che il tema non è una priorità. Tutti quelli del ceto produttivo ai quali ho posto la domanda, invece, lo ritengono una priorità, ma non credono che la politica sia capace di una tale riorganizzazione. E molti, siano imprenditori, manager o professionisti stanno spostandosi all’estero così come gli studenti e i ricercatori più competenti ci vanno senza l’intenzione di tornare, temendo che l’inefficienza e il declino di un sistema perché senza governabilità efficace rovini le loro vite. Per questo ritengo che la priorità sia assoluta: poiché senza testa la nazione sta perdendo le sue teste migliori e condannando chi resta all’impoverimento. Perciò bisogna dare una testa all’Italia.

E’ noto perché non l’abbia. Nel dopoguerra, comunisti e democristiani si accordarono per disegnare istituzioni che non permettessero all’uno all’altro un potere prevalente in caso di vittoria elettorale. Era poi fresco il ricordo della monocrazia fascista. La priorità data al governo orizzontale oscurò quella della governabilità verticale. Anche perché nel 1946-47 il potere era in mano ai partiti del Comitato di liberazione nazionale (Cln) e questi vollero mantenerlo disegnando istituzioni deboli guidabili dai partiti stessi e da accordi tra loro, in regime consociativo. Infatti, i partiti sono sempre stati e tuttora sono ostili all’elezione separata dell’esecutivo e del legislativo per mantenere il potere di mediazione politica, evitando che la popolazione elegga direttamente un rappresentante che risponda agli elettori e non ai partiti stessi. Per tale motivo il criterio di governo, dal 1948 a oggi, è stato influenzato dalla priorità di mantenere il potere dei partiti a scapito dell’efficienza ed efficacia amministrativa. Un Presidente della Repubblica eletto direttamente avrà il potere di nomina dell’esecutivo e dell’amministrazione sottostante: c’è il rischio di uno strapotere sbilanciato e distorto? Bisogna considerare che il periodo di tale potere è limitato, per esempio due mandati di 4 o 5 anni e che il potere verticale andrà bilanciato dal Parlamento. Ovviamente un candidato presidente emergerà da un processo di selezione entro un partito. Il punto è, tuttavia, che in una Repubblica presidenziale è probabile che il potere esecutivo riesca a fare le cose che servono alla nazione più di quanto ci riesca un governo parlamentare. Pertanto, se la priorità è dare una testa, cioè governabilità, all’Italia è inevitabile pensare a un potere esecutivo eletto direttamente e separatamente da quello legislativo. E per mettere ordine in Italia bisogna togliere ai partiti il potere gestionale, lasciando loro solo quello democraticamente corretto.

Pensate a chi e come possa: modificare il modello di welfare per renderlo più efficiente; tagliare spesa, tasse e debito per il riequilibrio contabile della nazione; rendere più produttiva sia la spesa sia l’amministrazione pubblica; ricollocare l’Italia in una migliore posizione europea; sostenere con una politica estera ad ampio raggio la vocazione globale dell’industria italiana – motore di ricchezza nazionale - in un mondo che sta cambiando rapidamente; e che richiede decisioni rapide e ingegnerizzate in base ad una capacità strategica. Non certo gli attuali governi parlamentari senza poteri verticali. Ci vuole una Repubblica presidenziale, dove il potere esecutivo sia ben bilanciato dal Parlamento, ma non impedito dai partiti nel proporre quello che è il meglio per la nazione in base ad un mandato elettorale diretto. Così la democrazia funzionerebbe meglio. E il Parlamento avrebbe più potere nel suo ruolo di bilanciamento di un potere esecutivo vero e non finto come oggi.

Poiché i partiti, per lo più, non vorranno mettere nei programmi la modifica degli articoli costituzionali che definiscono la forma del governo, anche per i fallimenti dei referenda precedenti in materia, ritengo necessaria la creazione di una formazione civica che li costringa a farlo. Personalmente mi sento ingaggiato perché tutte le ricerche, da cui derivano gli articoli qui, che faccio e pubblico per migliorare l’efficacia e l’efficienza delle democrazie sono rese inutili, in Italia, dalla mancanza di un governo con poteri adeguati per valutarle. Inoltre, senza governabilità forte e riformatrice, il declino della nazione, pur evitabile, appare inarrestabile e sento di dover lottare per difendere la mia reputazione di italiano e il patrimonio qui residente. Spero che La Verità si impegni su questo tema di interesse nazionale e chiedo a Belpietro di, cortesemente, esprimersi.

(c) 2017 Carlo Pelanda
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