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Carlo Pelanda: 2017-6-13La Verità

2017-6-13

13/6/2017

Gli investimenti militari come leva economica e politica

La Nato è l’unico moltiplicatore della forza nazionale rimasto all’Italia. L’altro, l’integrazione europea, è ormai un demoltiplicatore perché Roma vi ha una posizione marginale e di preda. Senza un rafforzamento della potenza nazionale, il destino dell’Italia è segnato: cessione totale della sovranità residua al dominio franco-tedesco, considerando che senza sovranità, o senza uno schema di sovranità nazionali convergenti in modo bilanciato e vantaggioso per tutte, l’Italia non potrà restare ricca. Tale rafforzamento, oltre che da un maggiore ordine interno – taglio del debito, più crescita e meno tasse – può venire solo dall’assunzione di un ruolo primario in una Nato consolidata. Il riemergere del potere tedesco e la scelta della Francia, rinnovata da Macron, di non bilanciarlo, ma di spartirlo, ha fatto fallire la decennale strategia italiana di depotenziare questi due predatori imbrigliandoli entro una confederazione europea. Ora Roma dovrà necessariamente continuare a tentare di usare l’Ue per contenere il dominio di Berlino e Parigi, e le loro offensive predatorie, ma, appunto, senza un moltiplicatore di forza non ci riuscirà. Francia e Germania non potranno rinunciare alla Nato, ma tenteranno di indebolirla via una compattazione militare europea da loro guidata. In sintesi, Roma dovrebbe bilanciare la sua debolezza in Europa con una maggiore forza entro la Nato, contribuendo a rilanciarla anche per impedire una Difesa europea finalizzata a indebolirla.  

L’America? La rinuncia di Trump a ripetere ritualmente, in un recente summit dell’Alleanza, l’adesione all’Articolo 5 del trattato Nato, che impegna tutti a difendere gli alleati in caso di attacco ha dato l’impressione di un disingaggio. Tale impressione è sbagliata. Trump, semplicemente, ha posto la condizione agli alleati di pagare quanto concordato per mantenere il proprio impegno. E su questo punto non è criticabile. Il Presidente della Romania, Klaus Ihoannis, infatti, in occasione di una visita a Washington ha annunciato che sarà il primo Paese europeo ad aumentare la spesa militare. E, nella stessa occasione, Trump ha confermato l’impegno dell’Articolo 5. Il messaggio è chiaro. Ma il governo italiano sta tentando di attutire e rinviare il richiesto aumento del bilancio Difesa. Tale posizione non ha senso strategico perché: a) mostra indecisione; b) non coglie l’opportunità di usare un maggiore profilo Nato come moltiplicatore di forza, c) non vede i vantaggi economici e politici di un aumento della spesa militare. Se questa, in particolare, fosse portata al 2% del Pil, e oltre, al posto di circa l’1% attuale, e indirizzata verso investimenti in nuove tecnologie, diventerebbe uno stimolo economico eccezionale per l’Italia, in particolare in un periodo dove gli investimenti pubblici sono scarsi. Da un lato, gli strumenti militari sono talmente costosi da non poter essere più industrializzati da singole nazioni. Dall’altro, la configurazione dei consorzi internazionali e il contributo tecnologico prevalente che una nazione può dare in essi hanno conseguenze sul piano (geo)politico. In mente ho una Nato entro cui si formino più consorzi industriali in cui la tecnologia italiana potrà essere chiave e grazie a questo dare un vantaggio sia politico sia economico. Per esempio, l’Italia è tecnologicamente forte per: aereomobili tattici, droni robotizzati, satelliti e minisatelliti militarizzabili, missilistica, naviglio futuristico, radar, sensori, guerra elettronica in generale, ecc. Ha capacità scientifiche residenti esclusive per generare marcatori da remoto, sistemi di medicina militare d’urgenza, farmaci speciali, tute ed esoscheletri supertech, alimenti conservati di qualità, mezzi di trasporto speciali, ecc. Anche nei settori della guerra e sicurezza cibernetica ha luoghi di competenza primaria pur l’industria nazionale di settore ancora poco sviluppata. In conclusione, portare la spesa militare al livello Nato concordato nei trattati e indirizzare tale investimento per nuovi armamenti e dintorni in consorzi internazionali favorevoli – cioè più con gli americani che con gli europei – darebbe impulso alla tecnologia nazionale mettendola all’avanguardia in parecchi settori, considerando le ricadute civili, e ciò darebbe la forza sia industriale sia politica che ci serve e che ora manca. Vorrei continuare il concetto strategico proponendo un’integrazione della Nato con le alleanze delle democrazie nel Pacifico, sotto la guida di un G7 allargato, che sarebbe di massimo interesse nazionale. Ma per ora fermiamoci all’obiettivo detto, cercando di farlo digerire alla politica affinché contrasti il governo qualora perseverasse in ambiguità al riguardo della Nato o auto-annessioni europee.

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