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Carlo Pelanda: 2005-8-10il Giornale

2005-8-10

10/8/2005

Sprecopoli rossa

 Nel 2004 le spesa per il personale delle Province è stata di 2,067 miliardi di euro con un incremento abnorme del 14,2% in relazione al 2003. I Comuni hanno speso 15,159 miliardi per stipendi, ben il 12,6% dell’anno precedente. Attenzione: i maggiori aumenti sono avvenuti nelle Province e Comuni dell’Italia centrale, quasi totalmente amministrate dalle sinistre. Ammettiamo che ci siano state ragioni tecniche che abbiano fatto impennare i costi di tali enti locali tra il 2003 ed il 2004: trasferimento di personale da altre amministrazioni, aumenti contrattuali “dovuti”, ecc. Ma, dopo averlo depurato, il dato resta scandaloso. E si riveste di orrore se si pensa che dopo le recenti elezioni la stragrande maggioranza delle Regioni è passata in mano alle sinistre: quanta gente inutile sono pronti ad assumere, quanta a pagare di più non per un aumento di complessità delle mansioni, ma per fidelizzarli? Se agiranno come i loro colleghi delle Province e Comuni rossi, già imputati di sprechi da togliere il fiato in base ai dati quotidianamente pubblicati da il Giornale, a cui si aggiunge questo relativo agli stipendi e assunzioni d’oro, abbiamo di fronte l’incubo della perdita di controllo della spesa pubblica. Comunque probabile se vincerà la sinistra nel 2006, come ha rilevato Standard & Poor’s nell’argomentare il peggioramento della sua valutazione prospettica sulla affidabilità della finanza pubblica italiana. Ma, scenari a parte, il governo ha l’obbligo di gestire questa emergenza adesso.

Tale materia riguarda l’architettura istituzionale del nostro sistema. La riforma pseudofederalista varata dal governo di sinistra prima del 2001 ha dato molte facoltà autonome di spesa agli enti locali, ma non la piena responsabilità di bilancio. In questa asimmetria trova spazio un crescente disordine finanziario. Per sanare il difetto bisognerà fare due cose: (a) dare autonomia fiscale agli enti locali che così potranno spendere solo quello che tirano su in loco per il loro specifico funzionamento (non le funzioni nazionali delegate quali la sanità, ecc., ovviamente), allocandolo secondo le preferenze politiche degli elettori; (b) vincolando comunque gli enti locali al pareggio di bilancio affinché il loro deficit non ricada sulla spesa generale dello Stato. Tale riforma riempirebbe di concretezza e responsabilità l’autonomia locale creando una simmetria “naturale” tra entrate e uscite, precursore essenziale per quella formale: con il voto i cittadini dei luoghi decidono quante tasse pagare e dove l’amministrazione locale dovrà allocarle e tanto si spenderà, non di più. In un tale sistema vorrei vedere un Presidente di Regione od un sindaco dichiarare che ha dato cento consulenze agli amici politici, assunto i parenti dei caporali di voto che lo sostengono, generato un assessorato per la pace nel mondo e preso venti auto di grosse cilindrata per dare prestigio a se stesso, moglie, figli, cugini, ecc. Se ai cittadini e sindacati va bene che in quel luogo si spendano i soldi in tal modo, affari loro. Se mancano, poi, per fare una scuola, facciano le lezioni anticipate locali, sempre affari loro e non dello Stato nazionale. Questa è la forma concreta, istituzionale e pratica, della responsabilità. Ma, appunto, quando lo Stato nazionale paga comunque i debiti locali o trasferisce loro i soldi senza facoltà di controllo nel merito, perché un ente locale dovrebbe essere responsabile? Problema e soluzione di fondo mi sembrano chiari. Ma non ci sarà il tempo nei prossimi mesi e, temo, anni per praticarla. Quindi lo Stato centrale ha un solo mezzo per risolvere la questione: imporre con legge specifica - di validità biennale - l’obbligo al pareggio di bilancio degli enti locali: per il 2006 non si da loro manco un soldo di più di quanto si è dato nel 2005. Anzi, sarebbe meglio prendere come riferimento il 2004. Da qui, poi, si possono e devono fare deroghe selettive in base a stati di vera necessità, ma pochi. Questo è l’unico atto - ripeto temporaneo- che possa evitare un disastro nel bilancio dello Stato prima di poter riformare in modo serio il sistema dei rapporti tra Stato centrale ed autonomie locali.

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